La classifica fa pensare alla figura geometrica della piramide. In alto però c’è sempre sua Maestà la Juventus. La vetta della graduatoria fa da punto di riferimento, scandisce tempi di consegna e obiettivi, impone insieme alla zona retrocessione i confini di un territorio verde bianco e rosso che è quello della Serie A.
Dal “Campionato delle piccole” siamo passati al “Campionato delle grandi (o aspiranti tali)”. Juventus, Roma, Napoli, Inter, Milan, Lazio e Fiorentina sono le nuove sette sorelle. Quelle compagini che si dannano l’anima per un posto al sole, quelle che puntano il cielo. La padrona è sempre (e ancora) lei, la Juventus, ma forse qualcosina sta cambiando.
Che sia nato un altro campionato? Se la Juve perde molto più spesso di un anno fa (Inter, Milan, Genoa e Fiorentina ridono) allo stesso punto del campionato, se la Roma vince anche senza brillare, se Napoli e Lazio trovano la continuità, se l’Inter dei grandi investimenti torna ad essere grande…vuoi vedere che la musica è cambiata?
La Juventus insegue un tricolore, il sesto di fila, che saprebbe indubbiamente di leggenda, ma cerca soprattutto la via libera per la tanto attesa Champions. Le altre puntano tutto o quasi sul campionato, si sono rinforzate e non perdono colpi. La Roma di Spalletti ad esempio, è sempre più italiana per praticità e atteggiamento ed è stufa di arrivare seconda, il Napoli orfano di Milik ha sofferto per poi risalire, le milanesi stanno tornando nelle posizioni che le competono. La Serie A è sicuramente più piatta, chi sta davanti non è riuscito a fare quel vuoto che storicamente avrebbe chiuso ogni discorso già a gennaio.
Sarà una seconda parte di stagione da vivere. Ogni partita può rimescolare tutto in vetta, con incroci pericolosi e scontri diretti che già tra una settimana indirizzeranno i destini delle pretendenti.
Ci aspettiamo moltissimo da Milan-Napoli e Juventus-Lazio, proprio come successo ieri sera tra Torino e Milan. I granata, a un soffio dalla vittoria e condannati di nuovo ad un risultato beffa piangono per i propri errori e restano nella terra di mezzo. Il Milan ringrazia e continua la propria rincorsa.
La nuova tendenza del calciomercato 2.0 è proprio questa: assicurarsi subito il giovane prodigio di turno. Piedi fatati, fisico asciutto, capigliatura stravagante e un pizzico di presunzione. Il ritratto dei nuovi campioni del duemila. Con un occhio al made in Italy.
In principio fu Kingsley Coman, talento francese classe ’96, a far drizzare le antenne di addetti ai lavori e talent scout della Juventus. Uno “scarto” del Psg che, nonostante le poche apparizioni in maglia bianconera, ha subito attirato il Bayern Monaco. Venduto! 28 milioni e una super plusvalenza nel portafoglio di Marotta, abile mercante del duemila. La Juventus valorizza al massimo un talento che proprio oggi ha la certezza di indossare una delle maglie più importanti del mondo in un contesto sicuramente più affascinante di quello italiano.
In Serie A, nel mercato interno, non si sta certo a guardare e allora ecco il duo Caldara-Gagliardini, il vero piatto forte di un campionato che quest’anno al nord, precisamente a Bergamo, mette in mostra i propri talenti. Comprati anche loro. E non per noccioline: Juventus ed Inter mettono in piedi due operazioni da 20-25 milioni cadauna per due calciatori sì promettenti, ma che “non hanno ancora giocato un campionato intero” (cit. Marino, ex d.s. della Dea).
Brava l’Atalanta, che cresce due campioncini in casa e li vende al prezzo di semi top player, coraggiose le big che spendono soprattutto in ottica futuro. Il giocatore giovane è la perfetta incarnazione della parola “progetto”, sulla bocca di tutti, ma valore per pochi. Che sia una nuova era? Che si pensi davvero all’italianizzazione delle nostre squadre e soprattutto a un domani imprevedibile ed entusiasmante come il tiro da fuori di un 20enne?
Il campo ci darà il suo verdetto, intanto riabituiamoci a pensare in grande. I talenti di casa nostra sono finalmente considerati tali e l’estero, per cifre e possibilità, potrebbe diventare nel giro di qualche anno una possibilità come le altre. La nuova leva calcistica è pronta a stupire.
È tempo di editoriali! Tanti concetti, tutti assieme, in un magico calderone chiamato Serie A.La stagione è iniziata sotto i migliori auspici con più squadre che sulla carta possono e potranno darsi battaglia per la vittoria finale e non solo. La favorita d’obbligo, la Juventus, sembra più disattenta del solito ed ecco quindi che le pretendenti si strattonano e buttano il naso dentro gli affari più importanti. L’Europa per prestigio e bilancio, la supremazia nazionale per rinvigorire tifoserie che si superano ormai solo sugli spalti e si distinguono per cori e folclore. Tutto questo in un unico articolo. E non è finita qui.
Era da un bel po’ di tempo che la Gazzetta dello Sport non indovinava un titolo in prima pagina. Quello di stamattina (“Roma sei da favola”, ndr) fotografa bene la situazione giallorossa, con un filotto di partite che erge la Lupa in testa alla classifica con merito, in attesa di test più probanti e definitivi. La goleada di ieri sera è stata sicuramente una di quelle prove di forza che si ricordano a fine stagione, ma qual è il segreto di questa squadra, passata in pochi mesi da punto interrogativo a pretendente principale al titolo?
Le parole del tecnico Rudi Garcia lasciano intravedere un uomo, prima che un tecnico, con valori importanti. “Giocare a calcio in maniera semplice è la cosa più difficile”, tanta saggezza in poche parole e in pochi passaggi decisivi per concludere a rete. La Roma è squadra da tenere d’occhio soprattutto per la solidità difensiva, vero segreto delle corazzate italiane. Sabato sera ne sapremo certamente di più, grazie a quell’Inter-Roma che toglie il sonno a Totti e compagni e che può già dare risposte in ottica scudetto.
Tra Mazzarri e Montella ha vinto il campo. La sfida di San Siro di giovedì scorso ha promosso entrambe le formazioni per gioco e voglia di sorprendere l’avversario. La Fiorentina ha qualità da vendere, ma giocare sempre bene per ottenere risultati è una strategia che ti assicura solo complimenti. “Eh ma l’Inter gioca in contropiede…” è sicuramente il ritornello dei (pochi) anti interisti, invidiosi di un progetto tecnico che ha rivitalizzato tutti, da Jonathan, passando per Alvarez e lo stesso presidentissimo Moratti.
Mentre avanza silenzioso il tycoon indonesiano Erick Thohir, WM sa bene ciò che deve fare e lo sta facendo nel migliore dei modi: il pareggio di Trieste ci sta e non porta indietro nemmeno di un centimetro le ambizioni nerazzurre.
Il portiere del Cagliari Agazzi ha parato tutto in un pomeriggio condizionato da un campo in condizioni pessime. L’Inter c’è e sta bene. Se un tecnico deve essere valutato anche per come fa rendere la materia prima a disposizione, Mazzarri è sicuramente tra i primi cinque del campionato italiano. Con tanti saluti ai fenomeni da talk show televisivo in salsa pallonara.
Chiusura dedicata al Milan che torna in Europa, vero habitat naturale. “Quanti successi in Olanda” sussurra Barbara Berlusconi alla partenza dei rossoneri, in crisi di gioco ma consci delle possibilità di risalita. L’Europa per staccare e ripartire, senza favori arbitrali (state più attenti arbitri e ammettete le vostre debolezze).
L’anno nuovo ci dirà chi sarà il club più forte al mondo, con il Barcellona di Luis Enrique impegnato nel mondiale per club, ma soprattutto chi andrà alla caccia dei titoli più prestigiosi. Il dominio blaugrana sembra essere imposto dalle stelle, ma le altre big europee non stanno certo a guardare. Partendo dalla panchina.
Se ne parla da mesi e, francamente, manca solo l’ufficialità. Pep Guardiola e il Bayern Monaco si separeranno al termine di questa stagione, con un sostituto che sarebbe già stato individuato. È Carlo Ancelotti, già messo sotto contratto ufficiosamente nelle ultime ore dal club bavarese come riportato dal Corriere della Sera. E Pep dove andrà? A Manchester, sponda City, non vedono l’ora di spendere 20 milioni di euro all’anno per lui, monetine per un club che ha bisogno di segnali prima ancora che di trofei. L’arrivo dello spagnolo in panchina, dopo i chiaroscuri dell’era Pellegrini, assomiglia molto all’inizio di un nuovo ciclo, dove arte e football danzano insieme armoniosamente.
Inghilterra patria di eroi e di ex rivalutati. È il caso di Claudio Ranieri, il “vecchietto” in cima alla Premier League che se la ride e se la gode. L’eterno secondo che fa miracoli quando non allena i grandi ma gli aspiranti tali, l’allenatore pratico e pragmatico buono…per il Chelsea. Dopo le follie che hanno accompagnato l’epopea di José Mourinho, forse un po’ di normalità al centro sportivo di Cobham non farebbe male.
Capitolo Simeone. Il comandante dell’Atletico Madrid ha perso un po’ di quell’appeal da straniero e potrebbe rientrare nella lista di Abramovich per il post Mourinho così come attendere una chiamata italiana. Chissà. Pep e i suoi fratelli ricominciano la loro caccia alla preda Luis Enrique, costi quel che costi. E i presidenti fanno altrettanto, in un gioco senza regole fatto di nomi e tanta pancia. Gli equilibri delle big europee dipendono soprattutto dalla prima scelta, quella dell’allenatore.
La nona giornata di Serie A premia il lavoro e la tenacia di Eusebio Di Francesco, allenatore del Sassuolo che sgambetta la Juventus e respira l’aria d’alta quota con i suoi 18 punti in classifica. Cosa si nasconde dietro la cavalcata del club emiliano? È proprio l’allenatore pescarese il segreto di un gruppo solido che si è presto levato di dosso l’etichetta di sorpresa per aggredire la realtà.
Tremendamente normale, silenzioso, pacato nei modi. Uno stile tutto suo, idee ambiziose nella sua testa ma pochi proclami. Il Sassuolo è da tre anni a questa parte una delle realtà più interessanti della Serie A, essendo stato in grado di abbinare il gioco ai risultati, facendo divertire e sovvertendo pronostici banali.
L’etichetta di seguace di Zeman, non proprio il primo della classe per rigore e fase difensiva tra i banchi di Coverciano, fa storcere il naso a tanti, agli ignoranti, a chi si accontenta e fa sua al 100% la regola del “meglio non prenderle” che paralizza il calcio italiano. L’esordio sulla panchina del Sassuolo, il 26 agosto 2012, è coinciso con la “prima” di un allora sconosciuto Domenico Berardi, gioiello invidiato persino dal Barcellona di Messi e Neymar.
Si parte dal gioco, dagli interpreti e dalla loro valorizzazione. Non ci sono fenomeni, esiste il gruppo. Eusebio Di Francesco raccoglie ora i frutti di un lavoro importante, allo stesso tempo pratico (non va dimenticata l’esperienza a Lecce) e teorico. La sua anima da allenatore trova una affinità a Sassuolo, scoperto dall’ex dg Bonato. Diventa grande partendo “piccolo” insieme alla sua provinciale. “Si può pensare in grande anche se non lotti per lo scudetto”. La forza delle idee, una buona dose di incoscienza e una società di alto livello sono gli ingredienti della ricetta Di Francesco, colui in grado di battere la Juventus campione d’Italia ed uscire senza punti da San Siro solo per colpa degli episodi.
Una piccola diventata grande, cresciuta esponenzialmente assieme al suo allenatore, vero cardine di un programma non solo calcistico, ma anche estetico e di stile. Semplicità, organizzazione e spettacolo: tanto lavoro, costanza e piedi per terra. Il segreto? Rimanere se stessi e credere ogni giorno nelle piccole cose. Tutte insieme, col tempo, sono destinate a diventare grandi. Come questo Sassuolo, a 3 punti dalla Roma capolista.
Il calciomercato che ha accompagnato l’inizio della stagione sportiva 2015/16 ha fatto sognare milioni di tifosi. Tanti i colpi messi a segno, tanti i milioni spesi per rinforzare le squadre da vertice e le aspiranti tali. Investimenti ma anche idee, scambi e operazioni last minute. Pochi gli scontenti.
TELENOVELA. Come ogni sessione di mercato che si rispetti, anche quest’anno ci sono stati giocatori con due piedi in due scarpe diverse. Le chiamano telenovela e riguardano campioni ambiti dai principiali club europei. Salah e Perisic hanno tenuto col fiato sospeso Inter e Roma. Proprio i nerazzurri, che avevano preferito Shaqiri all’egiziano nel mese di gennaio, ci avevano provato con insistenza. Salah va alla Roma dopo un litigio sulla linea Milano – Firenze e con un terzo interessato a godere: il tecnico dei giallorossi Rudi Garcia.
TELEFONATE. Perisic, ma non solo. Questione anche di progetto. Magari da spiegare al telefono, come ha ammesso Roberto Mancini. Il tecnico con più appeal della Serie A deve aver finito sì il credito del suo smartphone, ma la sua squadra ha fatto il pieno di stelle. Sarà il campo a consegnarci il verdetto più importante.
DERBY MONEGASCO. A Montecarlo si è giocato il derby milanese per Kondogbia. Il promettente centrocampista francese ha chiuso la prima parte del calciomercato, sancendo la vittoria dell’Inter ed evidenziando qualche falla nelle strategie del Milan. Non era stato un segnale qualunque per i rossoneri, autori di un mercato da 5,5 e alla ricerca del colpo che facesse saltare la posta.
RIVOLUZIONE. È la parola più usata. Basta osservare le rose delle squadre di Serie A. Ha cambiato (e tanto) anche chi non ne aveva bisogno come la Juventus. Un ricambio generazionale necessario ma che mette forse a rischio il quinto scudetto consecutivo. Roma e Inter salgono per qualità degli interpreti, ma necessitano di tempo lungo il loro percorso.
LE MEDIO – PICCOLE. Stupiscono Torino e Sampdoria. I granata, con Zappacosta, Baselli e Belotti hanno tanta energia in più. La cessione di Darmian al Manchester United non può che inorgoglire Ventura e il suo staff: questo sì che è un progetto vincente. Gli uomini di Zenga hanno tutto per far parlare di sé. Trattenuto Eder, Fernando e Muriel possono fare la differenza, trascinando i cuori doriani oltre l’ostacolo.
Una Serie A più ricca, la volontà di migliorarsi e quindi di spendere, una mentalità differente. Qualcosa è cambiato. Grazie calciomercato.
È un grande piacere presentare Diego Franzoso, 32 anni, laureato in Scienze motorie e in Scienze e Tecniche dell’attività motoria preventiva e adattata. Decima stagione in panchina, arricchita da esperienze in tutte le categorie, dai Piccoli Amici al mondo delle prime squadre (seconda categoria). Allenatore UEFA B collabora anche con il CONI in progetti per l’avviamento allo sport nelle scuole.
Il suo sito internet, ideacalcio.net, nasce nel febbraio 2012 con l’intenzione di diffondere il credo calcistico di Diego attraverso le sue idee e il suo metodo. È stato ed è tuttora per me grande fonte di ispirazione non solo per la preparazione delle sedute di allenamento ma anche per conoscere e approfondire i temi di uno sport così affascinante e complesso.
Nonostante la giovane età la tua carriera sembra già indirizzata: ti sei tuffato nel mondo del calcio. Cosa significa per te la parola passione? La Passione dev’essere ciò che muove ogni persona, che sia in ambiente lavorativo o sportivo. Personalmente lo ritengo il mio più grande punto di forza. Fin da quando ho iniziato ad allenare, sapevo che questa sarebbe stata la “cosa” che più mi avrebbe completato, ciò che avrei voluto fare per sempre. La passione è ciò che ti spinge a migliorarti e a mettere professionalità in ciò che si fa.
Quali valori devono animare una scuola calcio? Innanzitutto farei una piccola distinzione, in quanto non tutte le scuole calcio hanno gli stessi obiettivi. Ci sono scuole calcio che lavorano soprattutto per il “sociale”, vuoi per mezzi e disponibilità, e altre che puntano a costruire giocatori. Non volendo entrare nel merito di nessuna delle due, dico che non dovrebbe mancare, da parte dell’istruttore, la voglia di trasmettere l’amore per il nostro sport, la volontà di educare i nostri giovani e di insegnargli i veri valori dello sport. Chi sceglie gli allenatori per la scuola calcio dovrebbe mettere a disposizione le migliori risorse possibili, perchè molto spesso i danni peggiori si fanno proprio nella scuola calcio.
La figura dell’allenatore. Quanto può aiutare una società e quanto la società deve credere in un allenatore nella costruzione di un progetto tecnico? E se rispondessi dicendo che è l’allenatore che deve sposare il progetto tecnico della società? Molte volte però, purtroppo, le società non ne hanno uno e il più delle volte l’allenatore si trova in balia degli eventi. L’allenatore a mio avviso è una figura fondamentale, certamente non si può tirar fuori il sangue dai sassi, ma può far crescere in maniera esponenziale il parco giocatori, sotto tutti i punti di vista (tecnico, tattico, fisico e psicologico).
Crescita e risultati. A nessuno piace perdere, ma…Hai detto bene, a nessuno piace perdere, ma la vera differenza tra “bene e male” è l’interpretazione della parola vittoria. Per me la vittoria è un obiettivo, ma solo se è una conseguenza di come si ha giocato. L’obiettivo dev’essere quello di dominare il campo e l’avversario, dando tutto fino all’ultimo secondo, compreso chi subentra dalla panchina.
Tecnica individuale alla “vecchia maniera” e metodo integrato. Dove sta la verità? Se devo scegliere tra le due ti dico metodo integrato, ma se devo entrare nello specifico dico che la tecnica non dev’essere fine a sé stessa, ma funzionale al gioco, quindi cerco sempre di inserirla all’interno di esercitazioni situazionali o che perseguano una certa identità di gioco.
Come mai in Italia non riusciamo a valorizzare i nostri talenti? Le cause possono essere molte. C’è chi sostiene che arrivano in prima squadra giocatori non pronti e che quindi il problema sia legato al modo di operare del settore giovanile. Io invece sono più propenso a pensare che in Italia manchi una certa cultura sportiva e che si sia più legati al risultato, al tutto e subito. Non cè voglia di aspettare, non c’è pazienza. Ci sono allenatori che quest’anno in serie B sono stati esonerati dopo 2 partite, figuriamoci se questi potevano avere il coraggio di lanciare un giovane.
Il modello calcistico da seguire? Dico quello spagnolo, ma anche in Belgio, Olanda e Germania si sta lavorando molto bene. Probabilmente l’Inghilterra è la nazione che più si avvicina alla nostra, con la differenza che loro hanno un potere d’acquisto e investimenti non paragonabili a quelli Italiani e quindi il loro campionato è sicuramente superiore al nostro. Ho detto quello spagnolo perché mi piace, come ho già detto, la volontà di fare la partita, di dominare il campo e l’avversario.
Allenatore preferito? Avendo risposto alla domanda precedente, non posso che risponderti Guardiola. Quello che ha fatto e che sta facendo è sotto gli occhi di tutti. Ciò che vorrei invece sottolineare è la sua continua ricerca di nuove soluzioni tattiche. Penso per esempio a tutti gli accorgimenti che ha apportato al Barcellona subito dopo i primi successi, dimostrandosi estremamente flessibile e studioso del suo mestiere.
Infine le tue Idee per un calcio italiano in crisi. Ripartire proprio dal mondo della scuola. Molte scuole fanno solamente un’ora di educazione fisica a settimana e molto spesso è affidata alla maestra di italiano o matematica. Gli spazi e i mezzi scarseggiano.
Molte famiglie non capiscono nemmeno l’importanza educativa e sociale dello sport. In altre nazioni, scuola e sport vanno di pari passo. Un altro problema è quello legato al gioco “libero”. Ormai il gioco di strada, quello dell’oratorio, è pressochè scomparso. Il ruolo dell’istruttore del XXI secolo non è per nulla semplice, è difficile oggi far solo calcio, trascurando ad esempio alcune capacità coordinative che 15 anni fa venivano allenate per strada e che oggi sono destinate a non essere mai allenate se non interveniamo noi istruttori. Per questo dico che gli istruttori debbano avere tanta passione ma anche competenze.
Per riccardoamato.it parla Gian Luca Rossi, noto giornalista e opinionista tv dal sangue nerazzurro. Obiettivo quello di comprendere le scelte e le strategie dell’Inter.
Il ritorno di Mancini aveva portato entusiasmo e fiducia, salvo poi ricadere nei soliti errori macroscopici. Fin dove arrivano le colpe dell’allenatore? “In campo vanno sempre i giocatori, ma è chiaro che davanti ad una classifica tanto deficitaria, anche l’allenatore abbia le sue responsabilità. Mancini credo abbia sottovaluto la situazione e, nel contempo, sopravvalutato se stesso e la squadra, che ha complessivamente meno qualità di quel che si pensava.
Mazzarri in un’intervista ha dichiarato che la sua Inter sarebbe arrivata senz’altro terza in campionato. Condividi questa tesi? No. E non ci crede nessuno. Ma lui fa bene a “vendere” se stesso a chi ci vuol credere in vista del suo prossimo impiego. In ogni caso tornerà ad allenare squadre comunque meno prestigiose. E non è detto che non sia un bene per lui. A volte ci sono buoni tecnici, ma certi ambienti si rivelano troppo pressanti per loro. Basta solo riabbassare l’asticella.
Ranocchia e Juan Jesus sono un po’ lo specchio di questa squadra, potenzialmente buona, ma distratta e con poca personalità. È la difesa il punto debole di questa Inter? Sì. E insieme la loro, l’intera fase difensiva, ovvero la fase in cui non devi far tu gioco, ma devi andare a “rompere” quello degli altri. Fare gol all’Inter per tutto quest’anno è stato sempre troppo facile.
Da Moratti a Thohir, cosa ti manca e cosa invece non rimpiangi della vecchia gestione? Con Moratti si aveva senz’altro un punto di riferimento presente e continuo. La sua certamente una società più vicina alla gente, per quella che è la nostra cultura, con un presidente che dev’essere tifoso. Con Thohir, che vive dall’altra parte del mondo, ovviamente è diverso e i tifosi italiani non sono ancora pronti. Quello che non vuol capire è che ci vogliono anni per valutare seriamente una Presidenza. È presto per quella di Thohir, mentre per quella di Moratti parlano i titoli vinti. Sicuramente però, Moratti ha peccato nell’avvalersi di una dirigenza davvero forte, perché l’unico deputato ad agire ha sempre voluto essere lui. A volte poi è stato mal consigliato.
Handanovic, Kovacic o Icardi potrebbero finanziare con la loro eventuale partenza il mercato in entrata per la prossima stagione. A quale dei tre non può assolutamente rinunciare l’Inter? Purtroppo non si è nelle condizioni di rinunciare a nessuno. Kovacic non è ancora un campione. Icardi e Handanovic in un’altra Inter sarebbero punti fermi, ma oggi davanti ad offerte importanti, non si è nelle condizioni di non cederli.
Cosa manca a questa Inter per tornare in alto, diciamo a lottare per le prime tre posizioni in classifica? Mancano i giocatori: almeno tre uomini importanti, uno per reparto. Ma non potendo spendere 50 milioni di euro sul mercato, occorrerà essere molto bravi e fortunati nelle scelte. L’allenatore, molto più stimato all’estero che in Italia, resta comunque già un punto di partenza, insieme ai nuovi Shaqiri, Brozovic e Santon. Ora bisogna mettere le mani sul resto”.
L’Inter, per definizione, è capace di tutto e, come aggiunto dal presidentissimo Massimo Moratti qualche ora fa, non deve avere paura del Wolfsburg. Tutto può succedere in una notte, nonostante la sconfitta in terra tedesca per 3 a 1.
C’è ottimismo nel quartier generale interista, nonostante la tragicomica prestazione col Cesena di qualche giorno fa a San Siro. Ripercorrendo la storia interista ci sono poi tutti i motivi per credere a una rimonta già questa sera, il sogno si chiama Champions League (passando per il successo in Europa League). Impresa (im)possibile?
L’ottimismo del Mancio ha portato sicuramente qualcosa di fresco nell’ambiente, un atteggiamento e una mentalità ancora lontani dagli standard di una grande squadra, ma presenti nelle teste dei giocatori. Il lavoro quotidiano sembra finalizzato a una consapevolezza tecnica e tattica che sarà tale solo dalla prossima stagione, con un occhio al “salvabile” in campo europeo.
Questa è la serata che vale una stagione, o meglio che può salvare una stagione squilibrata dentro e fuori dal campo. Roberto Mancini chiederà ai suoi di dare tutto, di mostrare a se stessi e al pubblico cosa significhi indossare la maglia nerazzurra. L’Inter è per natura diversa dalle altre squadre e sa sorprendere proprio quando sembra spacciata.
I grandi campioni del passato hanno dato il meglio di sé proprio nei momenti di difficoltà. Due gol in questo caso darebbero vitalità e vigore a un progetto sulla carta tanto ambizioso quanto per ora intangibile nei risultati. Inter – Wolfsburg può davvero segnare il ritorno dell’Inter tra le aspiranti grandi, proprio il giorno dopo la grande affermazione juventina al Westfalenstadion. Sognare in fondo non costa nulla. L’Inter deve decidere cosa vuole fare da grande, sfidando i tabù europei e ritrovando se stessa.