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La Juventus e la Champions, conversazione con Gianni D’Imperio

È un grande piacere intervistare un profondo conoscitore del mondo Juventus, Gianni D’Imperio. Oggi è giunto il momento di comprendere questo campionato e soprattutto perché al vertice, dopo ben nove anni, non troviamo più la Vecchia Signora. Parleremo di Juventus e di molto altro ancora.

Tra poche ore si scende di nuovo in campo. Partita da dentro o fuori contro il Porto. “La sconfitta in Portogallo ci ha permesso di certificare alcune problematiche del momento della Juve. La lentezza della manovra innanzitutto ma soprattutto gli assenti. In primis Cuadrado, l’unico giocatore in grado di saltare l’uomo in un uno contro uno; le assenze di Arthur (giocatore unico nella rosa in quanto a gestione del pallone) e di Bonucci non ci hanno permesso di giocare in verticale con precisione sin dal nascere dell’azione”.

Sembri un po’ preoccupato dalla questione infortuni. “Sì perché purtroppo si ripetono e non è la prima volta che scendiamo in campo con tante defezioni. Non dimentichiamoci che stiamo facendo a meno del talento di Dybala e che in attacco, senza discutere le doti di Cristiano Ronaldo, Kulusevski e Morata non sono in grado di sostenere da soli il reparto nell’affrontare tre competizioni. La squadra, per esprimersi al meglio, ha bisogno dei suoi giocatori chiave“. 

Tornando alla Champions, il traguardo quarti di finale resta alla portata di questa Juventus. “Il Porto non mi ha impressionato. Solo alcune individualità come Jesus Corona possono metterci in difficoltà ma la Juventus, per storia e ambizione, deve scendere in campo con un’altra testa. Ricordiamoci che per il terzo anno di fila pesa un dato: è la terza sconfitta in un match a eliminazione diretta”.

In campionato la storia sembra un po’ cambiata. C’è il rischio di un appagamento dopo così tanti successi consecutivi? “Inutile negarlo, ti confermo questa sensazione. Solo contro il Napoli in Supercoppa e a tratti contro Roma e Lazio abbiamo tirato fuori quella vogliaindispensabile per centrare l’obiettivo anche quando non sei al meglio. Se non siamo stati spettacolari, la strategia tattica di difenderci e ripartire si è rivelata efficace”.

Il gol della speranza contro il Porto l’ha segnato Federico Chiesa. Come valuti il suo impatto e la sua stagione? “Il gol è sicuramente di quelli pesanti e sono contento dell’apporto alla causa dell’ex esterno viola. A differenza di altri giovani che hanno già debuttato, Federico sembra aver capito il peso della maglia bianconera. Qui vincere è l’unica cosa che conta e nessuno ha il posto garantito. I suoi gol e le sue prestazioni mi fanno ben sperare, l’impatto è stato sicuramente positivo”.

Cosa manca alla Juventus per coronare il sogno Champions? “Si avverte una grande pressione attorno alla Juventus in concomitanza dei grandi eventi. Ogni tifoso desidera quel trionfo, in primis perché manca da tempo, poi perché rappresenterebbe il coronamento di un progetto decennale. La squadra non deve snaturarsi e deve cercare di vivere con gioia questi appuntamenti, si tratta di poche (ma decisive) partite nell’arco di una stagione sportiva. Penso all’Atalanta, eliminata dal Psg l’anno scorso solo per inesperienza. Preferisco perdere sapendo di aver dato tutto piuttosto che arrivare scarico mentalmente ad appuntamenti contro squadre abbordabili come Lione o Porto”.

Facciamo un passo indietro. Trovi che la squadra si sia rinforzata questa estate? Ti convincono i nuovi innesti? “Alcune scelte in sede di calciomercato sono state discutibili. Chi è che non sbaglia? Ramsey e Rabiot, ad esempio, non mi convincono. Il gallese ha un ritmo distante da ciò che richiede la Serie A, mentre il francese è il primo ad affondare quando le cose non vanno, anche se nelle ultime gare sta migliorando. La società si è distinta per operazioni che guardano anche al futuroDe Ligt e Demiral si stanno rivelando due ottimi difensori e promettono davvero bene. Danilo ha portato esperienza e capacità di leggere diverse situazioni in campo, aiutato anche da Pirlo. Kulusevski e Chiesa sono ottimi giocatori che hanno solo bisogno di tempo. In attacco servirebbe un’altra punta ma un profilo come Scamacca, ad esempio, non mi avrebbe convinto”.

Un tuo commento a questo campionato. Chi è la squadra favorita? “Ogni partita nasconde delle insidie, anche se giochi contro il Crotone. Per lo scudetto vedo l’Inter favorita avendo a disposizione una rosa superiore a quella delle altre big e un solo impegno a settimana. È fisiologico rallentare dopo essere stati protagonisti per molto tempo, so che alcuni tifosi bianconeri non lo accettano ma è la verità. Abbiamo iniziato un nuovo percorso, con un allenatore alla sua prima esperienza e paghiamo questo gap rispetto alle milanesi, alla Roma e al Napoli che si conoscono e lavorano insieme ormai da un anno e mezzo. Lazio e Atalanta rappresentano delle valide avversarie per la conquista di un posto in Champions. Questo deve essere il nostro obiettivo, provando a migliorare dal punto di vista dell’atteggiamento per non ripetere le ultime prestazioni deludenti sul palcoscenico europeo”. 

Antonio Conte dalla Juventus all’Inter: è davvero cambiato? “Questa Inter ha le sembianze della prima Juventus di Conte. Il segreto del tecnico leccese è da ricercare nella motivazione che trasmette alla squadra in ogni allenamento. I giocatori corrono forte e bene in ogni partita, anche se a volte possono mostrare debolezze o incertezze. Il lavoro sul campo fa alla lunga la differenza. L’inizio di stagione è stato condizionato dalla programmazione post Covid-19. Per quanto riguarda gli infortuni, lo staff tecnico sta lavorando al meglio anche rispetto alle problematiche presenti in altre squadre. Il primo posto in campionato è sicuramente meritato“.

Riccardo Amato 

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L’Udinese e quei numeri da grande

La scelta della famiglia Pozzo di affidare a un vice allenatore la panchina più ambita, nonostante lui non lo volesse, si è rivelata non solo naturale ma persino efficace. Luca Gotti appartiene a quel mondo di storie, imprevisti e casualità che poi tanto imprevisti non sono. La sua Udinese sta dimostrando di essere una grande tra le piccole, almeno dal punto di vista dei numeri di questo 2021.

Sette punti nella settimana appena trascorsa e quinto risultato utile consecutivo alla Dacia Arena. Oltre al Sassuolo, anche Milan, Fiorentina e Inter sono tornate a casa con l’amaro in bocca. Un inizio di 2021 da protagonista, con quel rigore al 95′ a Milano contro il Milan che grida ancora vendetta. L’Udinese è tornata e guida la riscossa delle medio piccole, tanto criticate per un atteggiamento troppo difensivo quanto inevitabile, accusate della sola fisicità a scapito della qualità. 

Tuttavia se batti il Sassuolo e concedi poco o niente alle due squadre più prolifiche in termini di realizzazioni in Serie A (Inter e Atalanta), certi valori te li porti dentro e li esprimi in campo. Il tutto seguendo un tecnico, Luca Gotti, che fa del low profile la sua arma vincente. Un allenatore che non ha ancora (inspiegabilmente) rinnovato il suo contratto. 

Il mercato invernale ha portato con sé l’esperienza e la voglia di gol di Fernando Llorente, uno che sa come si fa e che si appresta a vivere un finale di stagione da protagonista. Il giusto mix tra giovani giocatori e profili più esperti, l’equilibrio nelle due fasi e una classifica “tranquilla” sono tutti elementi a favore del tecnico e di un gruppo che non deve porsi limiti. 

Guardando la classifica, il vero obiettivo potrebbe essere quello di sistemarsi subito dopo le prime otto posizioni europee. Un risultato che avrebbe un sapore ben diverso dalle sensazioni di inizio stagione. Un trampolino di lancio per il futuro, attraverso la ricerca e la valorizzazione di nuovi talenti da far conoscere al nostro campionato. Il primo passo dev’essere proprio questo, assieme a un tecnico che ha saputo creare la giusta empatia e che è in grado di guidare i propri ragazzi verso il prossimo step di crescita. 

Riccardo Amato

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Intervista a Giorgio Abeni: “Vi racconto il mio calcio”

È con grande piacere che pubblico sul mio blog una piacevole chiacchierata con una figura importante del mondo del calcio, Giorgio Abeni, Project Manager e Responsabile del Settore Affiliazioni del Modena FC 2018. Una conversazione “circolare” arricchita da temi che si alternano e ripetono con lo scopo di comprendere uno sport che sta cambiando e che necessita di risorse multidisciplinari.

Buongiorno direttore, partiamo forte andando subito al cuore della questione, che cos’è per lei un progetto sportivo e perché se ne parla tanto? 

“In tanti parlano di progetto, dal mio punto di vista questo deve essere definito a partire da un concetto manageriale. In particolare non possiamo dimenticare le attività di una società, i suoi vincoli, i costi ma soprattutto la pianificazione e il controllo: solo attraverso questi strumenti sarà possibile massimizzare il risultato finale. Le possibili problematiche di questo approccio riguardano spesso una scarsa pianificazione e l’assenza di rischi, ecco perché il progetto si trasforma in fallimento. Nel mondo dello sport come in ogni business servono competenze tecniche e manageriali, un ponte vero e proprio tra idea e realtà”.

A proposito di idee vincenti, come nasce l’idea delle società affiliate, con una forte propensione alle opportunità internazionali (sono ben 11 i paesi coinvolti: Olanda, Nigeria, Angola, Canada, Usa, Polonia, Malta, Capo Verde, Inghilterra, Cina e Thailandia)? 

“Nella mia testa si accese qualcosa nel 2009, grazie alla collaborazione tra un’importante squadra maltese, il Floriana FC e la Lazio. Fu il primo contratto di affiliazione. Le esperienze successive a Brescia e Carpi hanno dimostrato la bontà del progetto, raggiungendo proprio qui a Modena, insieme a Fabio Gozzi, Performance Manager un ulteriore grande successo, passando da 30 a 106 società affiliate. Questo è un programma di cui vado fiero all’interno di una strategia di external network management da parte di tutta la società. Sono tre le idee cardine: formazione, scouting ed eventi, a cui aggiungo fidelizzazione e fan base: il calcio ha ampliato i suoi orizzonti e mira a creare iniziative all’interno degli stessi eventi. La passione e la determinazione del settore affiliativo sono fondamentali”.

All’interno di un’altra intervista ho letto una sua considerazione sul merito e le scelte del nostro sistema. Ce le spiega? 

“Il merito ha a che fare con la propensione alla crescita e la valutazione del rischio delle proprie scelte. Appare evidente come si abbia paura a far giocare (e quindi rischiare) giovani calciatori importanti, lo stesso vale per tecnici e manager preparati, con idee ed entusiasmo. Nelle mie interviste ricordo spesso l’immagine dell’allenatore – manager in pallacanestro alto un metro e settanta, con i giocatori in campo che possono superare i due metri. Perché? Sono le idee che contano, la conoscenza viene prima dell’esperienza. Nel calcio questo approccio non è ancora stato completamente assorbito e considerato. Ho la sensazione che spesso vengano compiute scelte più per il consolidamento e per premiare l’esperienza rispetto alla valorizzazione di coloro che hanno quel “fuoco dentro”.

Parliamo di formazione e quindi di tecnici e dirigenti: quali caratteristiche deve possedere il manager sportivo? 

Nei miei 22 anni di esperienza ho capito una cosa: non si smette mai di imparare. Mi sono formato a Coverciano e come docente sto ultimamente supportando una studentessa della Sapienza in una tesi a riguardo. La chiave è “appassionarsi per migliorare dentro di sé”.

“Prendiamo la figura del direttore sportivo. Non esiste solo il calciomercato. Il ruolo richiede competenze organizzative e amministrative. In un’ottica di formazione continua, sono sicuramente indispensabili i corsi istituzionalizzati di Collaboratore di gestione e di Direttore sportivo professionista, ma possono non bastare. Ogni giorno e ogni persona possono offrirci conoscenza e sapere aggiuntivi e preziosi”.

Si sente di chiedere qualcosa alle istituzioni? Si sta facendo abbastanza per questo sport? 

“Il CONI è la luce da seguire per una corretta organizzazione sportiva nazionale. Stimo e apprezzo il lavoro di Ruggero Alcanterini, Presidente del Comitato Nazionale Fair Play, molto attivo nelle questioni riguardanti l’etica dello sport. La legislazione domestica del mondo sportivo rende allo stesso tempo difficile un intervento del legislatore come avviene in altri settori. La mia idea resta quella di creare tavole e convegni per unire gli stakeholder governativi, attori del mondo sportivo e universitario. Attraverso un confronto serrato possono svilupparsi idee per migliorare federazioni e leghe”.

Torniamo sul campo da gioco, esplorando e ricercando il talento. 

“Chi ha talento è colui che fa la differenza all’interno di un progetto grazie alle proprie capacità. Dobbiamo ricercarlo e valorizzarlo attraverso lo scouting e guardando non solo a giocatori ma anche a tecnici, dirigenti e collaboratori sportivi”.

È veramente possibile unire il talento a un calcio sostenibile? 

“La crisi ci ha insegnato tanto. Le politiche di creazione del talento sono necessarie per presente e futuro della società. Ribadisco quella che è la mia teoria: si parte dalla scelta di un management ben preciso, con idee, estro, fantasia e l’obiettivo di raccogliere il massimo risultato possibile. Prima di tutto viene il campo e quindi il training: un gruppo di allenatori che fanno la differenza, poi una rete di scouting alla ricerca del talento. A questo proposito cito con piacere il lavoro di Ivan Zampaglione, attuale Responsabile Area Scouting della US Triestina, professionista esemplare e maestro nell’organizzare una rete di osservatori capillare ed efficace. La cura della comunicazione della società e il marketing, politiche di external management e la pianificazione per obiettivi chiudono il cerchio. Siamo tornati così alla prima domanda che mi hai posto”.

“La sostenibilità è una forma di innovazione, la motivazione diventa un’opportunità e ci permette di lanciare quei giovani che lo meritano. Infine le persone, i veri protagonisti di una comunità territoriale, i loro valori, la capacità di includere e le pari opportunità”.

Concludiamo con una battuta sulla pandemia. Cosa ci ha lasciato di positivo una tragedia così brutale e globale? 

“Credo sia importante vedere del positivo nel negativo. L’augurio è che questa situazione possa concludersi presto ma soprattutto che ci lasci degli insegnamenti per il futuro. Ad esempio le nuove capacità di utilizzo degli strumenti informatici. Ora tutti siamo in grado di usarli e non abbiamo più scuse. I webinar via zoom o skype si sono rivelati strumenti utili per svolgere al meglio il nostro lavoro e rimanere in contatto con le persone”.

Riccardo Amato 

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I 5 motivi della fuga dell’Inter

Dagli ultimi due scontri diretti vinti contro Juventus e Milan, alle vittorie “facili” che sono mancate negli ultimi anni. La trasformazione dell’Inter è compiuta perché passata attraverso un processo di maturazione necessario e propedeutico al successo. Ora restano 13 finali prima del traguardo più importante.

LA ROSA. Il gruppo squadra nerazzurro è considerato da molti addetti ai lavori il più adeguato alle fatiche del campionato, abbinando quantità e qualità, con il lusso di una panchina che assume ancora più valore alla luce della nuova regola dei cinque cambi. Tradotto, l’Inter può cambiare e migliorare anche a partita in corso. Un uomo su tutti? Alexis Sanchez, l’unico giocatore di esperienza internazionale in grado di mescolare le carte e dare un turno di riposo a Lautaro Martinez (Lukaku è intoccabile).

AUTOMATISMI. Le squadre di Conte sono come degli orologi. Ogni ingranaggio deve ruotare alla perfezione e ogni schema deve essere letto e applicato alla lettera. L’unica porzione di campo in cui si può improvvisare è racchiusa negli ultimi trenta metri, con la sinergia Lautaro – Lukaku che ha ormai davvero poco bisogno di spiegazioni. Organizzazione prima di tutto, poi talento e qualità.

MENTALITÀ. Dopo più di un anno e mezzo di lavoro, persino i muri di Appiano Gentile sanno cosa chiede Conte, il tecnico più vicino per caratteristiche a coloro che hanno vinto con i colori nerazzurri. Primo punto del suo programma: la testa. Nessun alibi, grande lavoro e sacrificio, vivere ogni punto a disposizione come se fosse l’ultimo, consapevoli che a volte non si può vincere. L’Inter è cresciuta nell’affrontare le difficoltà, come dimostrato ieri al Tardini di Parma. Contro un avversario che ti tiene sulle spine servono cuore caldo e mente fredda. La vittoria arriva anche con la tenacia e la pazienza.

GIOCO. A lungo criticata per non essere in grado di esprimere un calcio di livello europeo, ora l’Inter ha trovato in Eriksen e Brozovic i paladini di questo nuovo corso sportivo. Più qualità e geometria in mezzo al campo, più possesso e gestione dei momenti della partita. Le partite dentro le partite non possono vederti tutte vincitore, l’importante è sfruttare le tue doti per arrivare al 90′ in vantaggio. Nelle ultime giornate l’Inter ha espresso un gioco piacevole ed efficace, perfettamente in linea con i programmi della prima della classe.

STRATEGIA. Senza le coppe la truppa guidata da Conte non ha più scuse. Questi 6 punti di vantaggio sul Milan (quasi 7 se consideriamo la differenza reti) sono stati costruiti nel tempo, con pazienza e voglia, senza lasciare nulla al caso. Le risorse in campo e gli uomini pronti a subentrare costituiscono un pacchetto di bonus prezioso da qui alla fine del campionato. La strategia ha pagato, i punti sono arrivati e i detrattori si sono dovuti ricredere.

Resta l’incognita legata al momento che stiamo vivendo e al suo primo effetto: questo campionato è tra i più difficili da interpretare degli ultimi anni. Tuttavia i motivi per credere a un’Inter in cima alla classifica alla 38ma giornata ci sono tutti. Gli ultimi passi falsi sull’altra sponda del Naviglio hanno contribuito a creare quel clima disteso che nel mondo Inter non si respirava da parecchio tempo.

Riccardo Amato

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Serie A, si infiamma la lotta Champions

La 24a giornata di Serie A ci ha raccontato i propositi delle milanesi, staccare il gruppo che le segue per tentare l’allungo, infiammando ancora di più la lotta per il quarto posto che significa qualificazione ai gironi della prossima Champions League. Tra la Juventus (46 punti e una partita da recuperare) e la Lazio (43), Atalanta, Roma e Napoli coltivano il loro sogno. Cinque squadre in tre punti e infinite combinazioni da qui alla fine del campionato.

Questa Serie A non ci annoia mai e vede nel segno “X” una variabile impazzita. Quel punto a testa che può muovere la classifica delle pretendenti ma che può tradursi in una mezza sconfitta se ambisci a qualcosa di importante. “Lo scudetto è alla portata” aveva detto Andrea Pirlo in conferenza stampa, rassicurando stampa e tifosi sul momento della sua squadra. Il campo ha invece premiato un gruppo, quello di Juric, che ha spostato i centimetri e il peso della Juventus. Nonostante questo mezzo passo falso, contro una delle squadre più arcigne del campionato, i bianconeri sono momentaneamente terzi in classifica.

Se l’Atalanta ha fatto i compiti a Marassi (2-0 alla Samp) e il Napoli ha rialzato la testa contro il Benevento, lo stesso non si può dire della Lazio e della Roma (sconfitte rispettivamente da Bologna e Milan). Gli uomini di Inzaghi sembrano aver pagato le fatiche di Champions, mentre i ragazzi di Mihajlovic si godono una vittoria di prestigio che può cambiare in parte le valutazioni sulla stagione.

Nel posticipo i giallorossi dimostrano per l’ennesima volta di mancare l’ultimo step per il salto di qualità. Vero che questi tre punti erano forse l’ultimo elisir di lunga vita per Pioli, altrettanto evidente il fatto che la Roma abbia nelle ultime giornate rimesso in discussione la propria posizione Champions. Le responsabilità sono tutte imputabili agli uomini di Fonseca, grandi contro le piccole e incompleti contro le grandi.

Ragionando sullo stato di forma delle pretendenti, l’unica squadra veramente in salute sembra essere l’Atalanta. Gli uomini di Gasperini viaggiano col pilota automatico e raccolgono i frutti di un gioco ormai codificato ed efficace. Le reti di Malinovskyi e Gosens pesano perché coincidono con l’assenza dal tabellino degli uomini copertina. Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Solo la capolista Inter sembra somigliare alla Dea. Gli uomini di Conte detengono infatti il record di gol segnati (60 in 24 partite).

Nemmeno il tempo di recuperare dagli sforzi profusi per la propria causa, che si torna in campo già domani per il turno infrasettimanale. Una nuova occasione in palio, con l’avversario più arduo da superare, l’equilibrio, che vorrà ancora una volta dire la sua. Ora i punti iniziano a pesare davvero e il mese di marzo, storicamente, può contenere alcune risposte a questo campionato 2020/21.

Riccardo Amato

 

Inter, senti Conte:”La mia sfida più difficile”

Intervistato dal Corriere della Sera, Antonio Conte non nasconde le difficoltà legate alla panchina nerazzurra. Un percorso di crescita condito da alcune cadute ma anche tanto orgoglio. Ora il primato in classifica. Il suo calcio, la difesa a tre e una missione: riportare l’Inter davanti a tutto e a tutti.

Non sa perdere Antonio Conte. La sconfitta? Meglio non viverla. “La sconfitta mi fa stare male perché so che la vivrò solo. Sento una grande responsabilità dentro di me ed è proprio questa eventualità che mi spinge ad azzannare la preda (l’avversario)”. Peccato che gli ultimi dieci anni della storia dell’Inter si siano sintonizzati sulla non – vittoria, sul mancato successo. La chiamata di Giuseppe Marotta aveva un unico fine: scegliere un top player della panchina per riportare l’Inter al successo.

“L’Inter da un anno e mezzo è una squadra che ambisce a vincere”. Si parla di credibilità e soprattutto di risultati. Il gruppo ereditato da Luciano Spalletti era già in grado di competere con le altre squadre, tutte tranne una, la Juventus. Questa stagione ha certificato l’annullamento di un gap, lo dice la classifica, lo spiegano i numeri e le prestazioni. Le critiche, in ogni caso, non mancano mai.

Una su tutte: questa Inter non è un po’ “difensivista”? “Ci vuole equilibrio. La mia idea è quella di attaccare con 5 / 6 uomini. Siamo partiti più aggressivi e questa spregiudicatezza ci ha portato a subire tanti gol. Ora anche i giocatori più offensivi coprono bene il campo nelle due fasi”. Il segreto qui sta nel lavoro quotidiano e nella abilità di far sentire protagonisti tutti gli uomini a disposizione. Eriksen e Perisic, in questo senso, sono i simboli di un lavoro certosino e che sta dando i propri frutti.

Quanto è difficile incidere in un mondo imprevedibile come quello nerazzurro? Questione di mentalità, urge sostituire quel chip mentale che ti porta dal “campare al vincere”. Le parole stanno a zero, contano i fatti. “La missione di un allenatore, una volta sposato un progetto, è quella di portarlo a termine. Restare a lungo? Ci spero”. Alla faccia di chi voleva la sua testa dopo l’eliminazione in Champions League. “Avremmo aiutato gli avversari”.

L’Inter procede unita e punta al massimo risultato possibile. “Non so se vinceremo ma faremo di tutto per riuscirci”. Un tecnico che è già stato modello per altri allenatori e che si è ispirato ai tecnici dilettanti. “Ho studiato il calcio e apprezzato quegli allenatori che erano costretti a vincere un campionato grazie alle loro idee”. Dal 4-2-4 alla difesa a tre, ciò che conta sono mentalità e atteggiamento. 

La vittoria nel derby ha spinto più in là le nubi che minacciano storicamente la Pinetina e alimentato forti convinzioni. L’Inter è la favorita numero uno allo scudetto e sono tanti i motivi per crederci. Dalla LuLa ai nuovi innesti e alla loro potenza di fuoco. L’Inter di Conte è pronta ad alzare un trofeo e questa volta non vuole lasciarselo scappare per nulla al mondo. 

Riccardo Amato

Il ritorno di Zaniolo

RESTART. Una parola, in inglese, apparsa sul suo profilo Instagram e poi una dichiarazione d’amore. “Quanto mi sei mancata”. La didascalia a una foto che lo ritrae di nuovo in campo a Trigoria. La fortunata non è la nuova fiamma che agita la vita privata di un giovane simbolo del calcio italiano, bensì lei, la palla, la migliore amica di ogni amante di questo sport. 

È così ufficialmente iniziata la rincorsa del numero 22, desideroso di riprendersi un posto in campo, magari largo a destra o ancora meglio a tutto campo, perché i giocatori di talento gli spazi se li vanno a cercare. Questa Roma avrebbe dannatamente bisogno del suo genio in un momento in cui alcune energie nervose si stanno esaurendo. Possibile rivederlo in campo dopo Pasqua, l’11 aprile in occasione di Roma-Bologna. Un nuovo inizio dopo due infortuni che avrebbero fermato chiunque.

Ad attenderlo ci sarà anche la Nazionale di Roberto Mancini. L’Europeo si avvicina sempre più e se esiste un dubbio nella testa del ct, riguarda sicuramente il ritorno di Nicolò, simbolo della rinascita azzurra e portabandiera di una generazione di talenti da scoprire e far debuttare sui palcoscenici più importanti.

E poi le notti di Champions. È questo l’obiettivo degli uomini di Fonseca, in piena lotta per la qualificazione alla prossima edizione. Nicolò Zaniolo è il più giovane calciatore italiano ad aver realizzato una doppietta in Champions League. La notte contro il Porto ce la ricordiamo tutti, impossibile dimenticare. Le corse perdifiato, il vento tra i capelli, la ritrovata forza di due gambe che devono sostenere il mondo. Quel mancino a volte leggero come una piuma, altre affilato come una lama.

Il campionato italiano si prepara a riabbracciare un giocatore totale, capace di bruciare le tappe e spingere sempre più in là nuovi record e limiti personali. Dietro il suo sorriso e grazie a un volto da bambino, il calcio diventa una cosa semplice.

Riccardo Amato

Atalanta e Lazio, appuntamento con la storia

Questa sera ritorna la competizione per club più affascinante con la Lazio che ospita i campioni del mondo del Bayern Monaco. Una partita sulla carta proibitiva, “ingiocabile” giusto per citare il tecnico biancoceleste Simone Inzaghi. Il calcio è però ciò che esiste di più lontano dalla teoria e dalle ipotesi. Un match affascinante dal sapore di storia.

Servirà la notte perfetta. Lo sa bene la Lazio, pronta ad affrontare i campioni di tutto e misurare la distanza dall’eccellenza. “Nel nostro percorso abbiamo già giocato tante finali e questa rappresenta il coronamento di cinque anni di lavoro”. Così il tecnico Inzaghi alla vigilia di questi ottavi di Champions League. Quello di Immobile e compagni è un percorso straordinario, sempre competitivi in campionato e ora pronti per l’Europa. Lo stile di gioco e la strategia tattica potrebbero persino mettere in difficoltà i bavaresi, abituati a dominare il gioco e non sempre impeccabili quando subiscono i ribaltamenti d’azione.

Petto in fuori per Inzaghi. “Vogliamo fare una partita che ci consenta di rimanere aggrappati alla qualificazione”. Se così fosse sarebbe grande Lazio, senza dimenticare quel duello tra due attaccanti straordinari del panorama internazionale. L’edizione 2020 della Scarpa d’oro è stata roba per Ciro ImmobileRobert Lewandowski si carica e fiuta la porta come la sua personale rivincita: difficilmente ha sbagliato nei grandi appuntamenti.

L’entusiasmo e la spensieratezza dell’Atalanta dovranno restare intatti anche domani sera. A Bergamo arriverà un incerottato Real Madrid con l’intenzione di mettere la firma su questa pagina sportiva. Gli uomini di Gasperini sono probabilmente la squadra più europea del nostro campionato e giocheranno senza alcun timore reverenziale. L’ultima campagna europea ha dimostrato che non esistono limiti per questo gruppo e l’occasione è di quelle ghiotte: il Real Madrid di Zidane è sicuramente favorito per storia ed esperienza dei suoi campioni, il momento non è però incoraggiante.

Si sfideranno quindi un team nel pieno della propria espressione tencnico – sportiva e un altro a un passo dall’oblio. Ai nerazzurri di Bergamo il compito di sferrare l’ultimo colpo a una nobile del calcio mondiale. Lazio e Atalanta, la storia vi aspetta. Con coraggio e ambizione nessun traguardo apparirà irraggiungibile.

Riccardo Amato

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Urlo Inter! Lo scudetto è più vicino

L’Inter batte il Milan 3 a 0 nel derby più importante degli ultimi dieci anni. Il tabellone di San Siro dice tutto quello che volevamo sapere. I curiosi e gli scettici hanno pane per i propri denti. L’Inter è da scudetto, probabilmente lo è sempre stata ma adesso inizia un nuovo campionato, affascinante e difficile: quello che conduce alla vittoria. 

L’eterno duello tra Ibrahimovic e Lukaku, la rinascita di una tifoseria rosso – nerazzurra che non alzava la voce da parecchio tempo, la voglia di superarsi e conquistare la vetta della classifica. I motivi per vincere questo derby c’erano tutti. Antonio Conte nel pre partita indica il campanilismo e la classifica. Questa lotta tra titani valeva molto di più dei tre punti. Il campo ha parlato: l’Inter è superiore a questo Milan.

Stefano Pioli arriva a questo appuntamento con orgoglio e coraggio, sapendo che i suoi uomini stanno rallentando dopo i miracoli degli ultimi mesi. La squadra è giovane, dipende assolutamente dal suo leader tecnico e sta viaggiando oltre le proprie possibilità da tempo. La stracittadina rappresenta però quel bivio tra l’essere grandi e il cedere il passo a chi lotta per gli stessi obiettivi.

Ed è proprio dentro le incertezze rossonere che si inserisce l’Inter, il cliente più scomodo, la predatrice che aspetta la preda, il Biscione che morde un Diavolo non più nel pieno delle proprie forze. La rincorsa nerazzurra ai cugini è iniziata qualche mese fa, dopo aver perso immeritatamente il derby d’andata, dopo le sofferenze patite in Champions, costruendo un futuro diverso a partire dalle proprie fragilità. 

Ha vinto ancora una volta il gruppo. Perché se Perisic ed Eriksen si trasformano da bruchi in farfalle, qualcosa vorrà pur dire, perché se segni 57 gol in 23 partite e subisci poco o niente, hai tanto da dire e non importa chi hai di fronte. I nerazzurri hanno dimostrato sul campo di essere la squadra con maggiori risorse, che deve sicuramente migliorare per puntare a quello scudetto che manca da undici anni.

È solo festa? I silenzi assordanti sono due: quello di Zhang fuori dal campo e quello forse ancora più grave di Ibrahimovic, stoppato da un super Handanovic in un paio di occasioni. Lo svedese resta a secco (che notizia!) e il Milan si ferma. Ora sono tre le sconfitte nelle ultime cinque gare disputate. Qualcosa a Milanello è cambiato e fortuna che la Roma si sia inceppata contro il Benevento. Il campionato dei rossoneri resta di alta classifica, con uno spirito diverso e la risalita pericolosa di alcune squadre costruite per gli stessi obiettivi.

Sembra spianata la strada per l’Inter di Conte. Dipende tutto dai nerazzurri, che nelle prossime giornate devono temere soltanto se stessi e alcuni eventuali cali di tensione. La rosa è al completo e ha bisogno di alcuni giocatori fermi ai box da diverso tempo. La maturità e la convinzione raggiunte sono il frutto di un anno e mezzo di lavoro, certificato dalla vittoria altrettanto importante contro la Juventus. Lo scudetto è possibile, l’Inter ha intrapreso la strada che porta alla vittoria.

L’urlo finale è dell’Inter. Nel silenzio di San Siro il popolo nerazzurro scalda i propri cuori ed esplode fuori dallo stadio, accollandosi quella responsabilità di un destino vincente. La corsa in campionato è tutto ciò che è rimasto e tutto ciò che conta. Vincere è la risposta a ogni critica, la vocazione di chi sogna di diventare grande superando ogni difficoltà. 

Riccardo Amato

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Lo strano caso Di Francesco

Stimato, acclamato e infine incaricato di pieni poteri sportivi per rianimare un Cagliari nelle paludi della Serie A. Soltanto pochi mesi dopo, nonostante il mancato arrivo di incoraggianti risultati sportivi, la scelta più bizzarra: il rinnovo fino al 2023. E adesso, la decisione: fuori Di Francesco dentro Semplici, atterrato stamattina in Sardegna. Un circo che ci ricorda quanto sia difficile costruire e semplice distruggere.

Nessuno meglio di lui può raccontare il mestiere dell’allenatore. Dalla gavetta, passando per alcune importanti stagioni rivelazione, fino ai momenti più bui e agli esoneri. Eusebio Di Francesco starà cercando di porre rimedio a infiniti dubbi, risolvendo enigmi che si intrecciano tra presente e passato.

La sua storia d’amore con il Cagliari è già finita. Chiaro dopo 16 partite senza vincere, sorprendente se ci si ricorda come soltanto qualche settimana fa il club sardo avesse annunciato il rinnovo del suo contratto.

Evidentemente ogni squadra e ogni società contengono dinamiche e problemi. Non basta spostare a Roma un tecnico che stupì tutti per gioco e risultati col Sassuolo, il calcio e la matematica non vanno d’accordo. E così ecco il fallimento a Genova, sponda Sampdoria e alla Roma, proprio dove sfiorò una finale di Champions nel 2018 dopo un match epico giocato contro i super campioni del Barcellona.

La vita a volte ti offre ben più di una seconda possibilità. Sbagli se continui a commettere gli stessi errori, facendo finta di niente. E gli errori sono tutti del Cagliari, protagonista già in passato di scelte azzardate e rivelatesi fallimentari. Quello che sembrava il perfetto sodalizio sportivo si è arenato alle prime difficoltà. In questa Serie A si è compreso subito chi avrebbe fatto fatica e se un Torino è corso ai ripari troncando sul nascere una suggestione, a Cagliari hanno illuso un’intera piazza spacciando rame per oro.

Oggi si svolta, con amarezza e colpevole ritardo. L’era Semplici sta per iniziare, con l’ex tecnico della Spal chiamato quantomeno a ritrovare entusiasmo e risultati. In estate sembrava quasi che il problema fosse soltanto la permanenza di Nainggolan. Dietro le quinte qualcosa si è rotto ed è sotto gli occhi di tutti. Ora serve recuperare parte del tempo perduto e risalire la china. Lo chiedono i tifosi, lo insegnano la storia e i successi di un club che rischia di salutare la categoria.

Nella crisi si nasconde persino un’opportunità: scrivere un nuovo capitolo della storia del club. Con umiltà e ambizione, trasmettendo stabilità e passione, facendo tesoro degli errori del passato, per non accostare un nuovo sfortunato cognome al prossimo progetto sportivo. I numeri non mentono: otto allenatori esonerati in sette anni rappresentano un patrimonio umano e tecnico che poteva essere gestito diversamente.

Riccardo Amato