Quanto conta un allenatore? Se leggiamo la classifica di Serie A i giudizi diventano facili e scontati. Il lavoro che sta dietro tre grandi squadre non lo racconta nessuno. Vincere non è mai facile. Il campo ci restituisce soltanto l’ultimo passo di un percorso faticoso e ricco di insidie.
I NUMERI
Il voto più alto, al momento, è ancora per Stefano Pioli. Ai nastri di partenza il suo Milan era giovane e ambizioso, ora sicuramente più maturo (non solo per la presenza di Ibrahimovic). Concludere il torneo al secondo posto, tradotto una Champions League serenissima, avrebbe il sapore di un piccolo scudetto. Una impresa difficile da pronosticare soltanto qualche mese fa.
Antonio Conte perde quel mezzo punto per la prematura uscita dalla Champions League. “Ma questa è un’altra storia”. E invece no. Questa Inter vale i quarti di Champions. Per gli interpreti, per la capacità di fare gol e per una nuova mentalità che mancava dai tempi del Triplete. Vincere dieci partite consecutive in Italia non è mai facile. Numeri da grande squadra, determinata e convinta.
Il percorso di Andrea Pirlo verrà giudicato soltanto tra un mese abbondante, il futuro potrebbe vedere un altro nome illustre in panchina. Le scelte della società (e di conseguenza quelle sul campo) si sono rivelate talmente coraggiose da risultare azzardate. Ora la sfida sarà tornare a vincere.
VARIABILI
Considerazioni a parole. Quali erano le condizioni di partenza delle tre squadre che guidano la classifica? L’Inter, al secondo anno di Conte, si risvegliava dall’incubo Europa League consapevole che tanto della stagione 2019/20 sarebbe stato da salvare. Il Milan riabbracciava un Ibrahimovic sempre più leader fuori dallo spogliatoio e show man a Sanremo, ma soprattutto confermava al suo allenatore quella fiducia che fa spesso rima con la parola successo.
La continuità nelle scelte delle milanesi, se proprio vogliamo trovare delle analogie o dei punti in comune, si è rivelata la ricetta indispensabile per la risalita. Se l’Inter di Conte è stata da molti definita la principale antagonista alla Juventus campione d’Italia, il Milan ha giocato con meno pressione esprimendo un buon calcio. Persino l’assenza del pubblico potrebbe aver avvantaggiato i diavoli nella conquista di un posto al sole.
FUTURO
La Juventus ha deciso di cambiare: dentro Pirlo e via a una nuova era. In un altro Paese questa sarebbe stata descritta come una scelta normale, fisiologica. In primis per le casse del club, poi per provare a rinsaldare quel binomio Juve – grandi ex del passato, che aveva funzionato con Antonio Conte. La Serie A è però una montagna da scalare per un debuttante e Andrea Pirlo lo è tuttora. Il ciclo Allegri avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Una grande società, con grandi calciatori e la pretesa di vincere sempre, deve puntare alla gestione dei suoi campioni e modificare il meno possibile.
In campo “la quadra” non è stata trovata, alcuni interpreti hanno deluso e le alternative, dopo nove anni di successi, possono pesare persino più dei titolari. La stagione 2021/22 racchiude già quel sogno scudetto che si è bruscamente interrotto. Il decimo scudetto consecutivo sarebbe stato qualcosa di ultraterreno. Tutta l’area tecnica dovrà dare ai tifosi delle risposte. A partire dalla scelta del prossimo allenatore. La rosa andrà ringiovanita.
MERCATO
Il dopo Cristiano Ronaldo è alle porte e sarebbe un grande errore far finta di niente ignorando la carta di identità del portoghese. Il caso Dybala andrà risolto: forse in bianconero abbiamo visto il meglio del repertorio recente del talento ex Palermo. Nuovi volti per nuovi successi.
Non solo punti e classifica. Progetti e obiettivi diversi. L’Inter era chiamata a vincere dopo i grandi sforzi della proprietà degli ultimi anni, il Milan è di nuovo competitivo e la Juventus si prepara alla missione per la quale è più portata: vincere a ogni costo. Tre allenatori, tre storie diverse e diversi orizzonti da inseguire. Un obiettivo comune, a volte così vicino da farci dimenticare quanto sia difficile da afferrare: il trionfo.
Lunedì 29 marzo è andato in scena il primo appuntamento della serie “Nuove frontiere e nuovi obiettivi” organizzato da Claudio Gori di Rete dei Mister, con la collaborazione di Alessandro Crisafulli e del canale YouTube Aurora Desio Settore Giovanile. Ospiti della serata Simone Gasparotto e Carlo Cataldo, due allenatori di calcio che hanno girato il mondo inseguendo il loro sogno. Ecco il loro racconto.
OLTRECONFINE
Il calcio è un linguaggio universale, non ci sono dubbi. Se l’Italia ci va stretta o se sentiamo semplicemente dentro di noi qualcosa di inespresso, ecco che si aprono delle nuove opportunità. È il caso di Simone Gasparotto e Carlo Cataldo, che per vie diverse ma con alcune convinzioni comuni, sono partiti e hanno girato il mondo con il pallone in testa. Cosa spinge queste persone a cercare fortuna all’estero e quali realtà troveranno oltreconfine? Qui non stiamo parlando solo di calcio ma di scelte di vita. Servono coraggio, ambizione e tanta determinazione. Un viaggio di cui conosciamo il punto di partenza ma mai quello d’arrivo.
DUE STORIE
Simone Gasparotto si avvicina al mondo del calcio in qualità di allenatore negli anni che vedono la Forza e Coraggio di Milano protagonista. La società di Via Gallura, in quegli anni, avrebbe creato una realtà sportiva dedicata a centinaia di bambini. Le esperienze in India, Svizzera, Marocco, Spagna e Inghilterra hanno rappresentato qualcosa di più di un semplice lavoro all’estero. Simone ha incontrato persone, ha affrontato difficoltà, stretto rapporti e costruito un progetto colorato da lingue diverse e un intento comune. Fare calcio e vivere la sua più grande passione. Ora è allenatore Uefa B ed è tornato in Italia, a Macerata. Il Matelica (club di Serie C) è il presente.
Carlo Cataldo studia a Bologna Scienze motorie per poi tentare la fortuna in Australia. Una terra affascinante, un altro mondo per certi versi. L’ambizione e la fortuna permettono a questo ragazzo di coronare il suo sogno e vivere di calcio. Non esiste solo il sogno americano. Ora Carlo collabora con il Barcellona e racconta con orgoglio quello che è stato il suo percorso, soprattutto perché nulla era già scritto e tanto andava ancora raccontato attraverso le sue azioni. Quella scintilla dentro di sé lo ha aiutato a comprendere meglio il suo destino.
I REQUISITI
Sorge spontanea una domanda: quali requisiti sono necessari per provare un’avventura all’estero? È sufficiente il mio bagaglio di esperienze e competenze maturate in Italia? Nel caso di Simone, candidatosi per una posizione di responsabilità all’interno del mondo Psg in India (ruolo ricoperto poi anche in altre realtà professionistiche), la selezione non è stata semplice. Come per ogni colloquio che si rispetti, le competenze all’interno del suo curriculum hanno fatto la differenza. Una laurea, una qualifica federale (il patentino Uefa B) e la conoscenza della lingua inglese sono tre step importanti per compiere il grande salto. Carlo è stato guidato più dall’istinto e da un po’ di quella sana incoscienza. L’Australia è stata una folgorazione, un amore a prima vista, la Spagna la terra della consacrazione (sia Simone che Carlo si sono formati e confrontati nella penisola iberica). Il messaggio è chiaro: serve osare, senza paura e con grande determinazione fino al raggiungimento dell’obiettivo che hai sempre sognato.
LA CULTURA
Nuovo Paese significa nuova cultura. Usi e costumi, abitudini e stili di vita in alcuni casi profondamente diversi dai nostri. Se l’Australia rappresenta con i suoi atleti un calcio più atletico che tecnico, definito dalla cultura del fitness e della prestazione, altre realtà si dimostrano essere più vicine alla nostra idea di calcio. La cultura catalana, in campo come a tavola, è sinonimo di condivisione. Il piacere di comunicare e stare insieme si riflette anche sul rettangolo verde. Lo stile di gioco è chiaro ed è stato reso celebre dal Barcellona di Pep Guardiola: teniamo sempre noi la palla, sia quando attacchiamo sia davanti alla nostra difesa. Un modello studiato e ammirato in tutto il mondo.
Simone ci racconta di un Paese come il Marocco, ricco di giocatori tecnici ai quali mancano solo alcune conoscenze tattiche. In India ritorna il tema della condivisione e dello stare insieme, un ambiente sociale ideale per l’insegnamento e un approccio positivo che ammiriamo anche in un altro sport nazionale: il cricket. Il calcio può persino essere influenzato dalle condizioni climatiche. Il sole della Spagna non suscita le stesse sensazioni di un plumbeo cielo inglese. La consapevolezza dei propri mezzi tecnici e la serenità con il pallone tra i piedi si discostano dall’aggressività e dall’intensità agonistica.
Due storie di assoluto valore, capaci di ispirare e farci immaginare un futuro luminoso. Il calcio ha il potere di cambiare le nostre vite per sempre, la nostra immaginazione unita al coraggio possono rendere la nostra vita speciale.
Per ascoltare il racconto completo di Simone e Carlo e rivivere la serata, questi sono i link:
Il calcio sta cambiando e corre sempre più veloce, come un pallone calciato in porta da un attaccante. Il binomio Serie A – Dazn è destinato a sopravvivere e a rafforzare il legame. La rivoluzione digitale è servita: niente più abbonamento e decoder Sky, basterà solo un’app e una connessione internet. Almeno così sarà per il prossimo triennio, dal 2021 al 2024. Una notizia per certi versi inattesa, sorprendente perché ad uscire di scena (anche se parzialmente) è un colosso come Sky (che detiene i diritti di Europa League e Champions League). E adesso che cosa succede? Quali mosse acrobatiche dovranno compiere milioni di tifosi con il telecomando (o lo smartphone) in mano? Proviamo ad immaginare la prossima stagione sportiva e televisiva.
UN NUOVO SPEZZATINO
Il calcio spezzettato lo abbiamo già accettato e digerito da tempo. Ciò che diviene ancora più evidente è la discontinuità nella fruizione dell’evento. Diverse piattaforme portano con sé diversi abbonamenti. Per seguire tutte le partite della propria squadra del cuore serviranno almeno due abbonamenti (Dazn per la Serie A e Sky per le coppe europee). La direzione è chiara: si va verso un intrattenimento on demand che però scontenta un po’ tutti. Una rivoluzione mancata perché non consegna del tutto al consumatore la scelta del proprio destino. Se guardiamo ad esempio alle partite in co-esclusiva, ecco che ancora una decisione definitiva dovrà essere presa e se non fosse Sky a spuntarla (ci sono anche Amazon e Mediaset per il “pacchetto due”) ecco che gli abbonamenti da sottoscrivere sarebbero addirittura tre. Uno scenario a dir poco comprensibile.
I COSTI
Un punto da non trascurare. Ad oggi un mese di Dazn costa €9.99 per la visione di tre partite su dieci del week end di Serie A, facile pensare a una cifra vicina a €30 al mese per la Serie A 2021/22. Non sarebbe stato meglio offrire agli utenti la possibilità di comprare le partite singolarmente o piccoli pacchetti (carnet) di 5 o 10 partite? Lo streaming da dispositivo mobile, come smartphone o tablet avrebbe avuto così un’offerta dedicata e differenziata (da vedere cosa farà Tim come partner del vincitore del bando). Se si vogliono attirare anche i giovani appassionati, diventa difficile pensare a una spesa del genere per vedere una partita dal cellulare. Una persona adulta che non vuole rinunciare al calcio dovrà così sborsare più di €50 al mese per seguire i propri beniamini. Ma non eravamo in tempo di crisi?
OCCASIONE PERSA
La questione si fa ancora più complicata dunque, perché le nubi sono più delle certezze. Da Sky la promessa è di “offrire il meglio ai propri abbonati”, come affermato da Fabio Caressa, direttore di Sky Sport. Parole di resa. La verità è che un prodotto di assoluto valore e che dovrebbe essere diffuso e condiviso in ogni angolo del mondo viene giostrato come un pallone che ha preso uno strano effetto. Si sa chi l’ha calciato ma non sappiamo ancora dove andrà a finire: se sul palo, sulla traversa o in rete. Chissà se il processo di digitalizzazione del nostro Paese, prima di trovare la via maestra e ritenersi compiuto, debba passare attraverso una zona d’ombra.
I sei punti di vantaggio (con una partita da recuperare) sul Milan rappresentano un valido motivo per credere a un finale a tinte nerazzurre. I motivi della fuga sono almeno cinque e ve li ho elencati in questo articolo qualche giorno fa, la matematica non mente e in una maratona anche un piccolo vantaggio può fare la differenza. Questo bonus può essere gettato al vento solo da Conte e dai suoi uomini, bravi a crederci e ad allungare nel momento decisivo della stagione, proprio in concomitanza degli impegni europei delle altre big.
LA ROSA
Confrontando gli undici in campo, è forse possibile attestare ogni valutazione su binari simili. La differenza sta però nelle scelte e nella profondità della rosa: l’Inter è superiore alle altre e lo dimostra il caso Eriksen. Il giocatore con più talento ed esperienza è salito in cattedra solo nelle ultime settimane; un campione come Alexis Sanchez vanta un impiego part time e può far rifiatare i titolarissimi Lukaku ed Eriksen. Valutazioni analoghe riguardano la difesa e il centrocampo. Insomma le seconde scelte a disposizione, in un campionato così lungo ed estenuante, possono cambiare in corsa un match e parecchi destini.
GLI SCONTRI DIRETTI
È proprio negli scontri diretti che l’Inter ha costruito le proprie certezze. Battere Milan e Juventus ti restituisce sei punti ma soprattutto fiducia e consapevolezza nei tuoi mezzi. Un anno fa, contro la Juventus di Maurizio Sarri, quel gap era ancora visibile. Il vantaggio in campionato riflette queste due importanti vittorie e una ritrovata forza mentale, caratteristica delle grandi squadre destinate a vincere. Se punti al titolo, devi superare le migliori squadre pretendendo il massimo da te stesso.
INFORTUNI E COVID: IL MILAN
Per la serie “diamo a Cesare ciò che è di Cesare”, lo straordinario cammino dei rossoneri di Pioli sarebbe potuto essere leggendario senza alcuni infortuni. La presenza di Ibrahimovic si è rivelata discontinua, ma a mancare sono state le alternative. Difficile chiedere molto di più a Leao (21 anni e soltanto 11 gol segnati in 53 partite ufficiali) e a Rebic. Corretto pensare al futuro e a una rosa giovane, da puntellare, ma che può vantare giocatori dal sicuro avvenire come Tomori. La stagione del Milan sarà da ritenersi quasi miracolosa se dovesse concludersi con un secondo posto finale. Da non dimenticare le iniziali critiche a Pioli e a una dirigenza non all’altezza secondo molti tifosi.
PIRLO E IL RODAGGIO
La Juventus di Andrea Pirlo (o forse di Andrea Agnelli) è la vera delusione di questa stagione. In primis per le scelte compiute dalla società. Il tecnico è sicuramente inesperto ed è stato poco supportato, con la sensazione che la sua carriera sia già in parte compromessa. Le scelte in termini di uomini non hanno pagato. Il centrocampo è il vero reparto sotto accusa; l’attacco guidato formalmente solo da Cristiano Ronaldo e Morata, con tre competizioni da giocare, si è rivelato troppo morbido e prevedibile. Per tornare a competere servono tre innesti e un tecnico che conosca il calcio italiano.
IL FATTORE CONTE (AL SECONDO ANNO VINCE SEMPRE)
Alle precedenti considerazioni aggiungiamo un po’ di statistiche. Calcio e tradizione vanno spesso a braccetto e così non si può negare l’affinità che lega Antonio Conte alla parola vittoria. No, non stiamo parlando della figlia e della sua vita privata. Se al primo anno all’Inter ha sfiorato un trofeo (l’Europa League) e ha accorciato sensibilmente il gap con la Juventus, ecco che i prossimi mesi potranno consegnargli quel trono agognato da tempo. La vittoria come traguardo e come punto di partenza. Conoscendo la smania del tecnico, cresciuta ancor di più dall’assenza di trofei nella storia recente, il pensiero scudetto andrà a toccare poi quello legato alla Champions, la sua nuova ossessione.
In casa bianconera si valutano innesti nel reparto offensivo. La stagione tribolata della JoyaPaulo Dybala induce a una profonda riflessione per il presente e soprattutto per il futuro. Un vecchio nome potrebbe tornare in auge: è Moise Kean, già apprezzato all’Allianz Stadium nella stagione 2018/19.
Fuori Dybala, dentro Kean dunque. L’ex Palermo è falcidiato dagli infortuni e pare stia valutando una nuova esperienza all’estero, il giovane attaccante italiano sta impressionando per capacità di adattamento al Psg. Non sarà facile strapparlo a Pochettino e all’Everton, proprietario del cartellino. L’obiettivo della Vecchia Signora è rimpolpare un reparto che sta facendo fatica in termini di gol e alternative al duo Cristiano Ronaldo – Morata.
Le 11 reti in 20 partite disputate finora dall’attaccante cresciuto nelle giovanili del Torino certificano la sua crescita. In attesa che sbocci Kulusevski (soluzione forzata) sarebbe la soluzione ideale per coprire una lacuna vacante. Le scelte degli uomini mercato bianconeri si sono rivelate incomplete, serve intervenire per reperire quei gol necessari per restare in alto in campionato e tentare nuovamente l’assalto alla Champions.
Le alternative? Pare che a Manchester, sponda City, il rapporto tra il Kun Aguero e Pep Guardiola si stia raffreddando. La suggestione italiana esiste ed è in piedi, ricalcando quell’operazione Tevez – Juve che portò in dote 39 gol in 66 apparizioni con la maglia bianconera tra 2013 e 2015.
Da capire se la scelta finale terrà conto dei motivi di urgenza o le necessità future. Inserire in organico un attaccante giovane e rodato sembra essere la soluzione preferibile all’ingaggio pesante di una ex stella. Un’altra variabile potrebbe essere rappresentata dal futuro (incerto) di Andrea Pirlo. Se la Juve attuale sembra prediligere le due punte, discorsi diversi potrebbero sfiorare la mente del nuovo tecnico. Un indizio è quasi certo: la Juventus cerca un attaccante e proverà il colpo a giugno.
Ora che gioca con la maglia della Fermana, la sua maglia è la numero 6, ma poco importa. Antonio Altieri è un giovane uomo di 18 anni, perché chiamarlo ragazzo, anche soltanto per le esperienze vissute, sembra riduttivo. Un calciatore alla ricerca dell’ultimo gradino prima del successo, della consacrazione, di quel fatidico: “Ce l’ho fatta!”. Ripercorriamo le tappe di una giovane e ripida carriera, scandita da colpi di tacco (e di testa), qualche ingenuità e tanta fantasia.
Partiamo da te stesso. “Mi ritengo un moderno Robin Hood, mi piace stare nel giusto anche se sono consapevole dei miei difetti. Una testa calda e una propensione a dire la sempre la verità, il che significa essere scomodi. Se ho perso delle opportunità per questo? Sì ma non solo per colpa mia, quando ci sono di mezzo altri interessi sembra quasi che per emergere non basti mai quello che fai in campo”.
Mai banale e pronto ad aprire le porte del suo mondo, Antonio è così, sa cosa vuole e non ha paura di mostrare anche le sue debolezze.
Eppure la tua carriera fin qui parla da sola. Nei professionisti da quando avevi 8 anni e un percorso per certi versi simile ad alcuni calciatori che stiamo ora apprezzando in Serie A (come l’ex Inter e compagno di squadra Sebastiano Esposito e il neo bianconero Rovella). Se ti guardi indietro, cosa vedi? “Il calcio per me è un gioco. Questa è la mia grande occasione e la vivo con passione, ci credo fortemente. Se lo meriterò arriverò in alto”. Una famiglia semplice, quattro fratelli (Chiara, Mattia, Gabriele e Milos) e due genitori, Giada ed Ezio, sempre presenti, anche quando è necessario vivere i momenti più difficili. “Ma io ho sempre voluto continuare, non ho mai mollato”. Determinazione e tenacia sono spesso indispensabili per puntare ai palcoscenici più importanti.
“Ricordo con piacere anche quelle figure che mi hanno accompagnato nel mio percorso, in primis Michele Sbravati (Responsabile del Settore Giovanile del Genoa), il sig. Piazzi a Parma, il grande scopritore di talenti Clerici a Brescia, il sig. Pansera ai tempi dell’Albinoleffe e Moretti per la parentesi a Piacenza. Personalità che conoscono il mondo del calcio, aiutano i giovani italiani a crescere e a credere nelle loro possibilità, ritagliandosi il giusto spazio. Non è un caso che a Genova, ad esempio, ogni anno arrivino in prima squadra degli ottimi giocatori. Ringrazio anche i miei ex allenatori: Abate, Oneto, Massolini e Gabetta”.
Un giovane alla ricerca della versione migliore di se stesso e consapevole della strada da percorrere. “So che devo guadagnarmi da vivere e col pallone non sarà facile, ma la missione è questa: combattere per superare le difficoltà”. Antonio non ha paura di un esame di coscienza. “Non sarebbe stato sbagliato lavorare come fanno tutti gli altri e guadagnarsi così da vivere”. Il calcio italiano sembra in crisi e fa strano parlarne con chi è entrato in questo mondo da bambino (tre anni all’Albinoleffe e cinque a Brescia rappresentano due step fondamentali per la sua crescita), con un’esperienza che ancora rimpiange, quella di 6 mesi a Lugano, un’oasi felice dove “il divertimento del calcio più sano e pulito mi ha reso felice”. In Svizzera Antonio è stato protagonista nelle vittorie di due trofei (Campionato e Coppa).
Il richiamo del Genoa, per storia e tradizione si è rivelato però irresistibile…“Con il Grifone siamo andati a un passo dallo scudetto, mancava così poco e lo avremmo meritato”. Il presente si chiama Fermana, l’ambiente giusto per dimostrare il proprio valore. “Ho un buon rapporto sia con il Team Manager Bargoni che con Mister Mercanti. Devo dimostrare e so che ogni mattina quando mi alzo devo provare ad alzare l’asticella chiedendo sempre qualcosa di più a me stesso. Solo così arriverò in alto”.
Il tuo contratto scadrà il prossimo giugno. Valuteresti una nuova opportunità all’estero? “Volentieri (anche se non vedo la sua espressione, visto che siamo al telefono, mi sembra quasi stia sorridendo)”.
Un giovane calciatore ha bisogno di giocare con continuità e serenità, crescendo con leggerezza e una sana ambizione. Il calcio è divertimento e passione, il lavoro è un’altra cosa. “Grazie al mio modo di vivere questo gioco tengo dentro di me la speranza di aiutare la mia famiglia e la gente che ne ha bisogno. Non è solo altruismo, è riconoscenza. Un giorno vorrei essere ricordato come un esempio in positivo. So che andrò di fronte a degli ostacoli e che oltre al talento dovrò avere testa e concentrazione”.
Il tuo rapporto con papà Ezio. Affetto, sostegno, realismo e concretezza. “È un uomo schietto e il nostro rapporto è diretto. Non ho mai pensato di smettere, semmai di cambiare Paese e ripartire da zero. Questo perché bisogna sapersi mettere in gioco ogni tanto, capire veramente il proprio valore. Così si misura il peso di una persona”.
Futuro e sogni, quali club ti attraggono maggiormente e se dovessi sognare una nuova maglia, quale sarebbe? “La mia passione per il calcio brasiliano e argentino mi rende semplice la scelta: per assurdo tra Boca Juniors e la mia Juventus (la squadra del cuore di Antonio) sceglierei senza dubbio il club di Buenos Aires. Un motivo? Laggiù si vive il calcio con semplicità e genuinità, come dovrebbe essere. In fondo è solo un gioco”.
Qualche aneddoto? È vero che i professori a scuola ti chiedevano la tua maglia? “Mi ricordo quando facevo il raccattapalle e i giocatori più grandi non mi filavano nemmeno per sbaglio. È un qualcosa che ti fa riflettere. La gente ha bisogno di modelli e di buone maniere, siamo persone e dobbiamo tutto al pubblico: più rispetto e un atteggiamento positivo renderebbero questo sport ancora più piacevole dal punto di vista umano. Anche se gioco da tempo tra i professionisti, non mi sento “arrivato”. Non basta il talento ma serve la testa, sai quante volte degli amici me lo hanno detto?”.
Perché si fa così fatica a scovare i giocatori di talento in Italia? “Quando gioco porto dentro di me le mie origini, una volta il campo era il parchetto sotto casa. Si trascorrevano tutti i santi giorni a giocare e a giocare, così imparavi per forza. A volte, in campo, in un match importante, scelgo il colpo più difficile, affidandomi all’istinto, proprio come quando ero bambino e volevo fregare chi mi stava davanti. Da piccolo tenevo sempre con me un pallone. L’immaginazione faceva tutto il resto. La fantasia nasce dalla testa, la mia pazzia mi aiuta a fare grandi cose. Lo ammetto, “sono veramente fuori”, sono matto. Sai cosa mi succede? A volte faccio prima una cosa e me ne rendo conto soltanto dopo. Questa è la mia passione, ho tanta voglia di stare sempre col pallone tra i piedi o in testa”.
Fantasia difficile da reperire anche nelle scuole calcio. Quanto ne avremmo bisogno…“Siamo diventati un po’ troppo attenti alla tattica anche con i più giovani. Un bambino non dovrebbe mai avere dei limiti e lo stesso allenatore dovrebbe comprendere e rispettare i diversi momenti della sua crescita. Se non rendiamo liberi i più piccoli, spariscono i dribbling e tutto ciò che rende magico questo sport. Il calcio è imprevedibilità”.
C’è qualcosa di cui ti penti? “La testata contro la Juventus in campionato contro il Genoa. Presi 4 giornate di squalifica e imparai la lezione. È il mio piccolo rimpianto. In quel momento qualcosa cambiò e me ne resi subito conto. La mentalità ti porta a grandi risultati. Sono convinto di essere più maturo e altrettanto sicuro che il meglio debba ancora arrivare”.
E quando ce l’avrai fatta e ti guarderai indietro, quale sentimento prevarrà: fame o rivincita? “Rivincita perché ho sofferto e ci tengo molto a riuscire in ciò che faccio. Mi applico e cerco di allenarmi ogni giorno al meglio, ma sono sempre un ragazzo e ho bisogno della mia libertà. Sai una cosa? In dieci anni non ho mai saltato un allenamento”.
Come vedi i giovani oggi? “Li vedo male (risata), Instagram e tutta questa apparenza allontanano i ragazzi dalla realtà. Quali sarebbero i contenuti? non c’è voglia di appassionarsi e credere in qualcosa. Una volta mi sono stupito guardando un ragazzo che palleggiava per strada. Ho fermato la macchina e sono andato a conoscerlo. Ne è uscita una conversazione di mezzora sulla vita e i nostri obiettivi. In un certo senso è stato quasi come se stessi parlando allo specchio. Ho rivisto me stesso e mi sono unito a quel sogno del ragazzo di “voler diventare qualcuno”.
La conversazione sta per concludersi e parola dopo parola resto sempre più impressionato dalla maturità di questo ragazzo, consapevole che la vita è fatta di sforzi e sacrifici oltre che di gioie e che talvolta il tuo marcatore non ti fa vedere una palla. C’è tempo per citare due grandi maestri come Walt Disney e Albert Einstein, “geni inventori un po’ matti”, perché in fondo tutto nasce da un’idea, da una visione, da una possibilità. Poi sta a te scegliere se provare a seguirla o se accontentarti.
Un ricordo affettuoso, una persona chiave per ogni bambino o ragazzo, la nonna Viviana, scomparsa poche ore fa e alla quale Antonio ha dedicato il gol – vittoria contro la Sambenedettese, come le aveva promesso. La semplicità di un gesto, il valore della famiglia e l’amore per la condivisione di qualcosa di speciale.
Ultimo atto. Scena da colloquio di lavoro. Ti chiedono un tuo pregio e un tuo difetto, cosa rispondi? “La testa è il mio pregio e il mio difetto, la felicità e la follia le mie ali per volare alla ricerca del mio posto nel mondo”. Antonio ci sorprende ancora, come quando, da bambino, calciò da venti metri e sorprese l’incolpevole portiere. Nel calcio come nella vita, conta mettercela tutta e stupire. In bocca al lupo Antonio, con l’augurio di rileggere tra qualche anno questa intervista e riderci un po’ su, nel frattempo un’altra occasione d’oro avrà deciso di farti visita. E tu l’avrai colta al volo.
Riccardo Amato
Antonio Altieri (Fermana) in azione durante il match contro il Perugia. Foto da Instagram
Antonio ai tempi del Brescia era già difficile da marcare
È tornato a parlare Massimiliano Allegri e come sempre ha fatto rumore. Le sue parole sono quelle di un osservatore interessato, profondo conoscitore di alcune dinamiche interne allo spogliatoio di una grande squadra che sfuggono a molti, preoccupati più dalla battuta da audience rispetto alla verità. Il calcio italiano è invitato a una nuova riflessione, a partire dalle riforme e dalle (mancate) risposte della politica, fino ad arrivare alle cocenti delusioni internazionali. Tra qualche mese l’Italia di Roberto Mancini parteciperà a un Europeo con una grossa responsabilità sulle spalle: smentire con i fatti il sospetto di una nuova debacle.
Dal “muso corto” diventato ormai celebre nella battaglia mediatica contro il Napoli di Sarri, passando per le vecchie maniere impartite da Galeone, al gabbione di Livorno (“dove ho perso solo una volta”), tutto fa brodo e ci aiuta a sdrammatizzare un calcio mai così in crisi e così pesante nella sua narrazione. Occorre rimboccarci le maniche, ne siamo certi, ma complicare ciò che di più semplice esiste (portare un pallone nella porta avversaria) diventa quasi una sfida estesa a tutto il popolo di appassionati e addetti ai lavori.
Il calcio è semplice, basta comprenderlo. L’ex tecnico della Juventus ha persino provato a riassumere alcune regole in un libro, ciò che non gli vanno giù sono i teorici del calcio e chi alimenta questa complessità. Uno sport diventato ormai scienza, uno spot più per studiosi che per spensierati fruitori della domenica, un’esaltazione della chiacchiera colta a tutti i costi. I giocatori, le risorse umane, il gioco e la cosiddetta “mentalità europea” sono solo alcuni dei focus del nostro calcio e qui le ricette non mancano. Le soluzioni, a parole, sono pronte da un pezzo, peccato che spesso non si compiano scelte per cambiare davvero usi e costumi in voga da anni. Cattive abitudini che ci hanno resi vincenti (in passato) e allontanati contemporaneamente dalla nuova vittoria: convincere anche in futuro.
In Italia il futuro è tra un mese, in Europa il futuro è il prossimo quinquennio. Giocatori e tecnici si alternano, sfiorano un progetto sportivo, scattano le foto di rito e poi spariscono. Qualcuno si chiede persino perché la Vecchia Signora e il tecnico livornese si siano separati. E qui non c’entra solo Pirlo, perché la convinzione, di tutti, resta la seguente: in Serie A, dopo qualche anno, devi cambiare allenatore.
E in Europa? Lì sì che si progetta, si sperimenta, si cambia ma si dà valore alle idee. La mentalità sportiva si costruisce nel tempo. Dal magazziniere al presidente, ognuno conosce il suo ruolo, rispetta le regole e mette davanti a tutto e tutti l’interesse generale. In Italia non c’è merito e scarseggiano le possibilità. Non è poi così difficile imbattersi nelle serie minori, in calciatori di 35 anni in campo e di 18 in panchina. In Olanda, tanto per citare una realtà sportiva, un giocatore di 16 anni debutta in prima squadra nella massima serie.
Peccato che poi parli un grande ex allenatore e tutti ci si senta filosofi o “aggiustatutto”. Pronti a cambiare. I discorsi sono sempre gli stessi, mancano le azioni più che le intenzioni, manca una Riforma dello Sport, mancano gli esempi. Il calcio è della gente, ma i fili vengono tirati dai potenti e dai portatori di interessi. Ecco perché c’è poco da stare Allegri. Se desideriamo un calcio sostenibile e che sia veramente di tutti, urge un’inversione a U il prima possibile. Siamo ancora in tempo per cambiare i nostri destini.
Questa mattina vi propongo un’intervista un po’ diversa dal solito, soprattutto per quanto riguarda i contenuti. Parleremo di sport, allenamento, motivazione e alimentazione con un amico, Matteo Borgotti, che da sempre vive le sue giornate come sfide personali per migliorarsi e superarsi, cercando di sfatare quei miti e quegli stereotipi dello “sportivo perfetto”.
Mettiamo subito alla prova il nostro atleta. Che cos’è per te lo sport e come lo vivi? “Partiamo subito da una precisazione. Per me salute significa stare bene sia dal punto di vista fisico sia mentale. Il mio motto è Train the body to clear the mind, clear the mind to free the spirit, non posso non considerare il fatto che siamo un sistema complesso e che mente, spirito e corpo siano interconnessi”.
Alcuni pensano che il vero obiettivo sia motivare se stessi ogni giorno. “Superare i propri limiti, appunto. Una delle mie più grandi soddisfazioni è quella di nuotare da solo in un lago (a Mergozzo, nella provincia del Verbano) e riuscire a partecipare a traversate. Il primo importante traguardo raggiunto è la Oceanman organizzata nel lago D’Orta nel 2019, un percorso di 4,5 km che mi rende davvero orgoglioso. Era da quando avevo cinque anni che non mi cimentavo nel nuoto e raggiungere questo obiettivo è stata una grande soddisfazione personale. Una sfida che è diventata un po’ il simbolo della mia crescita, aiutandomi a migliorare la mia autostima e la fiducia nelle mie capacità”.
Ti ispiri a qualche personaggio sportivo in particolare? ”Ross Edgley per me è un mito, in primis perché ha riscritto la sua personale storia sportiva e ha dimostrato come niente in partenza sia già scritto. Una grande fonte di ispirazione e coraggio, non è da tutti compiere quelle imprese e mettersi in gioco costantemente, attraverso gesti estremi che fortificano le tue convinzioni e spingono milioni di persone a dare in ogni occasione qualcosa di più”.
Sport e Covid: come possono coesistere e quali soluzioni vedi per il futuro? ”Allenarsi in epoca Covid non è facile: ci vogliono costanza e applicazione. L’obiettivo è tramutare un semplice esercizio ripetuto in uno stile di vita sano. Mi sto trovando bene con questa app si chiama Freelitics e ti consente di organizzare il tuo allenamento con o senza attrezzi. Non ci sono scuse. Pur essendo un amante dei pesi e dell’allenamento con sovraccarichi, non mi dispiace sperimentare e provare esercizi a corpo libero. Penso che il futuro dello sport abbia a che fare con nuove relazioni e contatti in tutto il mondo. Sul mio profilo Instagram @bullkoi pubblico tutto ciò che riguarda questa mia grande passione, seguo i più grandi atleti, mi informo e mi documento per sapere tutto ciò che può aiutarmi dal punto di vista del benessere fisico e mentale”.
Quali sono i benefici dello sport che senti dopo ogni allenamento? “Lo sport è medicina, sfogo, rifugio, evasione dallo stress e dalle abitudini della vita moderna. Qualche volta sento i miei colleghi bofonchiare quando sentono che anche alle otto di sera, dopo una pesante giornata di lavoro, sceglierò di allenarmi. Forse sono un po’ diverso dagli altri, ma sono felice“.
Motivazione, fatica e passione rientrano nel tuo “vocabolario sportivo” ? ”La motivazione è tutto, a volte ripenso a quanti chili utilizzavo le prime volte in palestra e dove sono arrivato adesso, l’importante è porsi piccoli obiettivi raggiungibili e non mollare di fronte alle difficoltà. Persino la fatica, una compagna di avventure quando vado a correre, può diventare un alleato. Lo sport non è un sacrificio, semmai un momento nel quale esprimere me stesso, è la mia passione e va di pari passo con le altre attività legate alla famiglia e al lavoro”.
Le sfide di oggi e domani, cosa prevale: ansia da prestazione o voglia di stupire? “C’è sempre una nuova gara. La vita è fatta di esami che, a prescindere dal risultato finale, ti insegnano qualcosa. Ecco perché invito tutti a mettersi in gioco e a ribaltare pronostici e impressioni, siamo sempre in tempo per cambiare in piccolo la nostra vita. L’importante è iniziare”.
Sport & Salute. Quanto è importante mangiare sano e bene per uno sportivo? “L’alimentazione è un fattore molto importante per ogni sportivo. Allenamento e nutrizione vanno di pari passo. Credo che la scelta corretta sia quella di affidarci a chi ne sa più di noi. Anche io in passato ho provato il “fai da te” ma con risultati modesti, ora che sono seguito da un biologo nutrizionista posso dire di sentirmi meglio e sicuramente più vicino a quelli che sono i miei obiettivi“.
Infine i tuoi obiettivi per i prossimi mesi. “Il prossimo obiettivo si chiama Oceanman Cap D’Agde,ovvero i miei primi 10 km in mare (https://oceanman-openwater.com/races-2021/oceanman-capdagde/). Sarebbe davvero grandioso compiere un’impresa sportiva del genere e sto già lavorando perché ciò accada”.
La fuga dell’Inter in vetta alla classifica di Serie A è ormai realtà. Il +9 sul Milan scattato dopo le 22:30 di ieri sera non ammette repliche e allontana le voci di un avvicinamento dei cugini. La Juve non è morta e vede il secondo posto come una prospettiva concreta, a patto di superare un Napoli in crescita nel recupero della terza giornata di andata. Chi sfiderà i nerazzurri nella corsa al titolo?
Inter, Milan e Juventus: ancora loro. La truppa guidata da Antonio Conte è stata costruita per vincere e si sta avvicinando a grandi passi all’obiettivo, i rossoneri di Pioli sono la vera sorpresa di questo campionato mentre i bianconeri si godono il personale riscatto di CR7 e sognano la rimonta. Ci sono tanti punti e altrettanti gol a certificare il momento dell’Inter: ottava vittoria consecutiva e bottino pieno grazie ai gol di due tra i più deludenti in campo. I campioni fanno così: quando sembra che la giornata si stia per concludere senza lampi, ecco la magia. I cambi nel secondo tempo cambiano un match troppo bloccato (come l’ha preparato il Torino di Nicola) e consegnano ai nerazzurri tre punti pesanti come un macigno. Diventa difficile pensare ora a qualcosa di diverso da un finale nerazzurro.
Alle spalle dei nerazzurri Milan e Juventus devono solo capire quanta benzina hanno per tentare lo sprint o quantomeno avvicinarsi alla cima della classifica. Se i bianconeri sfoggiano un Cristiano Ronaldo affamato e desideroso di lasciare il segno (almeno nelle statistiche) anche in questo torneo, lo stesso non si può dire dalle parti di Milanello. Stefano Pioli rimugina su ciò che sarebbe potuto essere questo Milan con un Ibrahimovic a tempo pieno. Allo stesso tempo però, l’upgrade in termini di gioco è avvenuto proprio contando sulle proprie forze e affidandosi ai meno esperti. Forse stanno mancando le prodezze di Leao, forse è stato fin qui ingeneroso chiedere a una squadra con grandi doti ma una rosa giovane di comandare un campionato così imprevedibile e proseguire il cammino in Europa.
La Juventus non è spacciata, anzi ci crede. Andrea Pirlo pare aver trovato la formula magica, semmai ora dovrà concentrarsi sulla continuità di rendimento e sulla gestione di un gruppo che non sa perdere. Vincere è l’unica cosa che conta, ma il primato al momento dista dieci punti. Ragionare partita per partita sembra la scelta migliore, valutando le contromosse teoricamente più efficaci senza farsi condizionare da ciò che succede sugli altri campi. La fresca eliminazione dalla Champions League non ha compromesso la stabilità mentale dei bianconeri scesi in campo alla Sardegna Arena. Tuttavia il futuro è ancora da decifrare. Milan e Juve sarebbero state davvero pronte ad approfittare del mezzo passo falso interista, peccato che in una maratona lunga 38 tappe, vinca alla fine chi accumula più punti, spesso quando non li merita.
Tra qualche giorno sapremo quanto peso dare alle fatiche europee. Il bilancio delle italiane in Europa appare sempre più in perdita, meglio guardare oltre. Intanto alcuni punti sono scivolati via per inseguire quel brivido da “mille e una notte”. L’esito del match di Europa League tra il Milan e il Manchester United interessa davvero tutti.
La lotta per la Champions League è entrata nel vivo e ogni dettaglio può fare davvero la differenza. Così come ci auguriamo che possa proseguire il cammino dell’Atalanta, impegnata a una nuova impresa contro il Real Madrid di Zidane. Chi non sembra più padrona del suo destino è la Roma di Fonseca. D’Aversa raccoglie quei tre punti che avrebbe meritato almeno in una delle ultime uscite stagionali, i giallorossi vedono sfumare un traguardo che sembrava possibile.
E il Napoli? Qui conteranno mentalità e rendimento. Insomma, Inter a parte, tanto deve essere ancora detto (e scritto) a proposito di uno dei più spettacolari campionati dell’ultimo decennio.
Questa mattina sul mio blog è tempo di parlare di calcio con una persona ricca di esperienza. Giuseppe D’Aniello ricopre solo formalmente il ruolo di Segretario Generale della US Triestina Calcio 1918, perché il suo sguardo e le sue azioni vanno ben al di là di una semplice funzione organizzativa. Cerchiamo di conoscere meglio una delle realtà più importanti per storia e tradizione del panorama sportivo nazionale, con l’augurio che il meglio debba ancora arrivare.
Quali esperienze di vita e di calcio ricorda come più significative per il suo percorso e a che punto considera arrivata la sua carriera? “Nasco come “dirigente sportivo” nel settore giovanile del Napoli del secondo anno dell’era De Laurentiis sotto l’egida del DS Pierpaolo Marino (un riferimento per me, umanamente e professionalmente parlando) per poi ricoprire ruoli di Direzione Generale e Gestionale (amministrativa ed organizzativa) in Serie C a Lecco (per quattro anni), in Serie B a Varese (5 anni); un anno a Teramo come Amministratore Delegato e poi dal 2016 alla Triestina, dalla serie D ad oggi come Direttore Gestionale. Se dovessi scegliere il momento più significativo della mia carriera direi quello vissuto nel 2012 con il sogno Serie A svanito (nella finale play off Varese – Sampdoria persa) grazie al quale siamo arrivati ad un passo dal…Paradiso”.
Il progetto Triestina: ambizioni e prospettive per il futuro. “Lavoro con Mauro Milanese dai tempi del Varese (appunto dal 2011, da 10 anni) e siamo partiti insieme dalla Serie D: questa piazza per blasone, storia, stadio e ambizioni merita come minimo la Serie cadetta e sono sicuro che prima o poi approderemo sui grandi palcoscenici. Lo meritano la città, la tifoseria e soprattutto il duo costituito da Milanese e dal nostro presidente Biasin per i costanti investimenti intrapresi”
Un commento al percorso della prima squadra. Come vede Pillon? È il tecnico giusto? Quali giocatori dovremo osservare con maggiore attenzione? “Pillon è un allenatore di esperienza e di grande spessore umano e professionale, siamo sicuri che il percorso intrapreso con lui ci porterà a grandi traguardi. Stiamo crescendo tanto con lui ed anche la squadra, partita dopo partita, sta acquisendo quella mentalità di grande gruppo”.
Le propongo un paragone: la sua figura, quella del Segretario Generale, rispetto a quella del Direttore Sportivo. Come siete organizzati all’interno della società e come sta cambiando il calcio in questo senso? “Ricopro un ruolo più ampio di quello di Segretario Generale, bensì quello di Direttore dell’Area Gestionale, che comprende quello amministrativo, organizzativo ed appunto gestionale a 360 gradi, rispecchiando l’altra faccia della medaglia rappresentata dall’Area Tecnica in capo a Mauro Milanese”.
Dalla scrivania al campo. Che tipo di calciatore cerca la Triestina? Come opera la vostra rete di scouting? “Giocare a Trieste in uno stadio del genere e davanti a 5 mila persone non è facile e quindi qualsiasi profilo di calciatore, giovane o meno, deve avere innanzitutto spiccate qualità di temperamento unite alle doti tecnico – tattiche. La rete di scouting coordinata da Ivan Zampaglione ci consente di monitorare il territorio nazionale ed internazionale in maniera capillare alla ricerca di profili adatti, da Triestina appunto”.
Qual è il rapporto con la città di Trieste e la tifoseria? “Direi un rapporto idilliaco. Ci sono sempre vicini, nel bene e nel male, facendoci sentire davvero mai soli. Il rapporto di stima e rispetto è reciproco anche perché loro percepiscono davvero la serietà del progetto e le grandi ambizioni del Club”.