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Il calcio e il tabù dell’omosessualità

Per la categoria Storie, mi spingo in un terreno inesplorato, affrontando il calcio e i suoi tabù. Come potete leggere nel sottotitolo del mio blog, “Capire il mondo del calcio”, lo sport e il calcio in generale non hanno solo a che fare con risultati e prestazioni. Esistono questioni più profonde, importanti, da trattare. Possono sorgere difficoltà e incomprensioni ogniqualvolta si insabbi il problema.

Il tema dell’omosessualità nello sport è tra i meno dibattuti. Chissà il perché. In questa occasione mi aiuterà un amico, Maurizio Mazzocchi, grande tifoso laziale e appassionato di calcio. Un racconto estremamente attuale ed interessante per chi volesse dire la sua, ma nel momento topico, non sente di avere forza o voce. Un articolo dedicato a chi si sente solo o incompreso. Le parole possono aiutare ad esprimere qualcosa di nascosto.

“I miei ricordi da bambino? L’oratorio: c’era una squadra di calcio e partecipavamo ai vari tornei regionali. La scuola calcio è stata la mia prima palestra di vita. Undici anni molto importanti dal punto di vista umano, contraddistinti da quello spirito e quella partecipazione che rendono il calcio uno sport divertente”

“Il mio mito è sempre stato Alessandro Nesta, da piccolo gli scrivevo persino delle lettere”. Come altri calciatori di quell’epoca che sembra ormai lontana, il calciatore era soprattutto uomo, volto pulito, esempio. “Sono un grande tifoso della Lazio ed ebbi la fortuna di conoscere Beppe Signori quando giocava nel Foggia”. Non fu l’unico personaggio famoso che Maurizio incontrerà lungo il suo cammino.

La passione per il calcio è sempre stata una questione di famiglia. Impossibile ignorare quello che successe nel periodo del Foggia di Zeman negli anni ’90. “Anche noi abbiamo contribuito alla passione di quella piazza così calda. Una sorta di educazione e comprensione della cultura sportiva”.

Da ragazzo mi cimentavo con alcuni giochi per computer. Il mio preferito era Championship Manager: lì ho capito che mi sarebbe piaciuto diventare un allenatore. Ne parlai con Delio Rossi, tecnico del Lecce nella stagione 2002/2003. Mi ero reso conto che nel gioco c’erano degli ottimi giocatori e gli dissi di promuovere Chevanton. Il resto è storia.

Crescere significa anche confrontarsi soprattutto con se stessi. “Da bambino non avevo la consapevolezza di chi ero, eravamo tutti uguali. Mi chiamavano “il ballerino” per il mio portamento e la mia gestualità. Tuttavia non avvertì alcun problema di inclusione”. Con l’avvento dei social media, la questione potrebbe cambiare. I ragazzi di oggi potrebbero avere più difficoltà a confrontarsi con il mondo esterno.

“Nel 2013 scoprì quasi casualmente che un amico giocava a calcio. Fu così che creammo una squadra di calcetto composta da ragazzi gay: ci fu talmente tanto entusiasmo da dover organizzare due-tre partite a settimana per accontentare tutti”. Fu quasi come il primo passo sulla luna.

“Non eravamo soli. A Bologna, Torino, Firenze e Napoli si organizzarono altri tornei. Il più folkloristico al quale partecipammo fu “La finocchiona” di Firenze, nel giugno del 2015, proprio durante il periodo del Gay Pride. Uno dei momenti che ricordo con maggiore piacere era quello in cui si mangiava e beveva tutti insieme e poi si andava a ballare dopo la partita”. Creare un gruppo sano e affiatato, nel calcio come in altri sport ci permette di scoprire i valori dell’amicizia e della condivisione.

“Decidemmo di alzare l’asticella e di iscriverci ai tornei Sportland. Alcune squadre non si dichiaravano dal punto di vista del loro orientamento sessuale, altre invece sì. Devo sottolineare come non abbiamo mai avuto problemi, né situazioni scomode o insulti con le altre squadre”.

Il pregiudizio. “Il mercato (gli sponsor) e le questioni economiche pesano eccome sulle scelte dei principali personaggi pubblici. Il tabù si crea perché si nascondono delle cose. La politica, in particolare con il ddl Zan, prova a dire che lo Stato c’è e può aiutare anche nello sport”.

Omosessualità e razzismo sono sullo stesso piano? “I problemi legati al razzismo e all’omosessualità dovrebbero attestarsi sullo stesso livello. Ciò che vedo è che per il primo si sta facendo qualcosa…”

“Parlare nelle scuole, avvicinare le famiglie e i ragazzi alla comprensione di se stessi potrebbe essere una soluzione. Dall’educazione sessuale al semplice dialogo, non serve costruire muri, bisogna aprire le classi ai temi dell’attualità”. Un collegamento richiesto anche per la semplice preparazione all’attività sportiva.

“Avete presente l’immagine dello stadio che ti fischia solo perché sei nero? Ora i giocatori reagiscono, possono farlo e ricevono solidarietà, ma se dovesse farlo qualcuno come omosessuale? Cosa accadrebbe? Una persona omosessuale nel calcio è ancora sola, non ha la forza, non è aiutata e compresa ad essere accettata”.

Spesso ci si nasconde dietro quel “politicamente corretto” che soffoca i tentativi di educazione nel senso di far conoscere il problema.Il calcio è una scuola anche in questo senso. Apprezzare il valore della diversità, a partire dai più piccoli, rappresenterebbe un gran bel punto di partenza.

Qualcosa sta cambiando. I mondiali di calcio femminile trasmessi in tv sono già un momento storico: un insegnamento per il pubblico (maschile). Esiste anche il calcio femminile. Da sempre esistono delle contraddizioni ormai accettate. Una su tutte? La pallavolo maschile.

Meglio tardi che mai. Un altro importante messaggio di inclusione? Le donne arbitro come Stephanie Frappart, in campo in occasione della finale di Supercoppa Europea soltanto qualche mese fa.

“Oggi è difficile fare il calciatore per i messaggi che lanci ogni giorno.Ci vuole più impegno. Dietro l’angolo c’è sempre un problema di comprensione. Da David Beckham a Cristiano Ronaldo, le questioni relative all’immagine non sono mai state così cruciali”.

In un calcio maschilista, la donna che fa la sfilata in tv e i maschi che sbraitano e urlano di calcio mostrano un connubio perfetto per una seconda serata. La donna sessualizzata, intesa come rappresentazione molto femminile nell’apparire, spesso stona con un concetto di “sola” professionalità.

Una Anna Billò (Sky Sport) ad esempio, costruisce la sua immagine non solo sulla bellezza ma soprattutto sulla competenza. Così è stato per Ilaria D’Amico, padrona di casa del calcio in tv. Non deve per forza apparire. Una famosa soubrette moglie di un calciatore invece non fa nulla per non provocare e far parlare di sé.

Sono mai stati invitati come ospiti in tv dei calciatori omosessuali? Raramente è successo. Sintomo di una presa di distanza, più o meno immaginaria, da un mondo già presente all’interno del mondo del calcio.

Riccardo Amato

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Professionisti allo specchio: i temi della terza puntata

La serata che abbiamo vissuto tutti insieme ieri sera ci ha confermato l’importanza della condivisione e del confronto. Il mondo del calcio e dell’attività di base in particolare, hanno bisogno di idee forti, esperienze e competenze da mettere al servizio dei bambini. Lo sport rappresenta quella prima “palestra” all’interno della quale imparare regole, mettersi in gioco e aiutare il prossimo ad esprimere il meglio di sé.

Gli interventi di Leonardo Zanfi (Accademia Modena), Marco Arcese (Pescara Academy), Angelo Colombo e Andrea Biffi (A.C. Monza) arrivano in uno dei momenti più alti della serie Professionisti allo specchio, per valore delle esperienze e conoscenza della materia. L’autonomia del giovane calciatore, la capacità di ripartire dopo la pandemia da Covid_19, la voglia di imparare e superare gli ostacoli per scoprirsi persone migliori. Il calcio è anche questo. A volte si attacca, altre bisogna sapersi difendere.

La realtà presentata nel primo intervento, quello di Leonardo Zanfi, ci mostra un grande campo verde dove passione, entusiasmo e coraggio spingono i bambini ad imprese sempre più grandi. La richiesta (e la proposta) consistono nel mettere in atto un gioco propositivo attraverso una metodologia integrata. La paura è un’amica incompresa, perché il cuore dell’allenamento è la volontà di migliorarsi. La resilienza una qualità da portare sempre con sé nelle sfide di tutti i giorni.

Marco Arcese è l’uomo delle domande, quelle essenziali. Quei dubbi che accompagnano il tecnico in campo ogni volta che vi mette piede. Qual è la missione dei tecnici? Quali strumenti e quali metodi possono condurci alla meta? “Non dobbiamo dimenticarci di essere stati anche noi dei bambini”. L’eterogeneità di un gruppo, caratteristica presente in quasi tutte le società dilettantistiche, diventa un valore. L’esperienza un mezzo. Il bambino si meraviglia ogni volta, imparando a conoscere se stesso e il mondo che lo circonda.

Ciò che davvero non può mancare è la competenza. Secondo Andrea Biffi, tecnico U7 e U8 dell’A.C. Monza, “per poter allenare i bambini servono conoscenze a 360 gradi”. Angelo Colombo, Responsabile dell’attività di base del club lombardo, presenta il metodo Monza, il G-A-G, con passione e dinamismo. Un metodo per nulla rigido, costruito sul gioco e sulla capacità di adattamento del singolo atleta. Il gioco è sempre al centro. La sperimentazione e quel pacchetto di tentativi ed errori che arricchiscono il percorso di un bambino, sono step fondamentali per crescere.

Tre contributi che assomigliano a tre grandi fiumi che sfoceranno nello stesso mare. Passione, competenza, coraggio, coerenza, voglia di cambiare uno sport in continua evoluzione. Le proprie storie da trasmettere e raccontare a quei bambini che hanno sofferto, ma non hanno mai mollato. Il calcio sta ripartendo. È questo il segnale che tutti volevamo ricevere. Ora tocca a noi scendere in campo, con un occhio al presente e la testa già al futuro prossimo.

Infine, l’ennesima conferma che non stiamo parlando soltanto di calcio. Una grande mente del passato, Albert Einstein, una volta disse: “Superiamo l’idea che solo i ragazzi debbano dedicare il loro tempo allo studio. Si è uno studente finché si ha ancora qualcosa da imparare, e questo significa per tutta la vita”. Un nuovo punto di partenza per un nuovo viaggio ricco di spunti, riflessioni e calci a un pallone.

Riccardo Amato

 

Ecco i riferimenti degli organizzatori degli eventi!

Alla prossima puntata, giovedì 10 giugno sulla pagina Facebook di Slow Futbol. Non mancare!

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Stefano Barbetta: “Mourinho? La Roma ha già vinto”

“Mourinho è la Roma perchè della Roma condivide l’ambizione, la personalità, lo spirito e quella modernità ancorata nella tradizione di un passato glorioso che è un incentivo e non un appagamento”. Basterebbero queste parole per sintetizzare la carriera di un grande allenatore, quelle dosate da Stefano Barbetta.

Studiare Mourinho, comprenderne provocazioni, smorfie e gesti, è un po’ come tradurre un’opera antica. Conosci l’autore, lo stile e le tecniche. Tuttavia rimani sorpreso. Un po’ come è successo nell’ultima fase della carriera dello Special One. “Le ultime destinazioni si sono rivelate non adatte al personaggio. Ma la Roma è un’altra cosa”.

L’immagine di un gladiatore 2.0 che esalta se stesso e l’arena, Mourinho capopopolo, condottiero e volto di un moto impetuoso. In campo e fuori. “Il tecnico portoghese non può considerarsi semplicemente allenatore, ma psicologo, illusionista, manipolatore”. I termini “prostituzione intellettuale”, “zero titoli”; gli attacchi continui agli avversari per sentirsi vivi e in lotta con il mondo. Una strategia comunicativa efficace e vincente.

Un vincente che non ha bisogno della vittoria a tutti i costi. Anche quando la sua squadra perde, Mourinho ha vinto. “Pensa se dovesse vincere la Coppa Italia con la Roma, che cosa accadrebbe?”. Parliamoci chiaro. L’obiettivo della Roma di Mourinho sarà probabilmente un posto Champions, sullo sfondo l’ipotesi di un trofeo “minore”.

Dopo Fabio Capello a Roma nessuno è riuscito a portare risultati di rilievo, abbinando pragmatismo e catalizzando le attenzioni. Nasce anche da questi presupposti la scelta del personaggio sportivo più amato (e odiato) del calcio del duemila. Roma ha bisogno di vincere e di riconquistare quel rispetto e quella sana arroganza che soltanto i numeri uno sfoggiano con eleganza.

Quel sorrisetto ironico che sa di provocazione, quel “tutti contro tutti” che riempie l’aria come il rumore dei nemici. Mourinho accentratore, catalizzatore e scudo contro le critiche, persino quelle interne. E se dovesse fallire? “Non avrebbe problemi ad ammettere che a sbagliare sono stati gli altri, coloro che lo hanno scelto”. Una psicologia inversa che sa ammaliare e disturbare chi lotta come te per gli stessi obiettivi.

Mourinho andrà a compensare le possibili lacune dei Friedkin, alla prima esperienza nel mondo del calcio. “Un uomo troppo intelligente per giocare le carte sbagliate. La strategia di comunicazione e l’abilità di spostare l’attenzione dalla squadra ad un nuovo problema: è arte”. Che sia una domanda piccata in conferenza stampa o un gol da realizzare, poco conta.

“La Roma ha già vinto”. La notizia dell’approdo nella Capitale del tecnico portoghese ha fatto schizzare alle stelle i numeri social della squadra giallorossa e non solo. Un grande acquisto per tutta la Serie A, improvvisamente terra promessa e di nuovo appetibile per i grandi nomi dello sport.

Per ritrovata mentalità, storia e trofei, la Roma lotterà per le posizioni più alte della classifica. Questione di coraggio, rispetto e quella sana arroganza di chi ha vinto e sa che, comunque vada, la storia l’ha già scritta.

Riccardo Amato

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La copertina del libro di Stefano Barbetta, “Il vangelo secondo Mourinho”

Professionisti allo specchio: la seconda serata

Dopo il successo della prima serata, ecco il bis tanto atteso. Matteo Battilana e Alberto Bonacina (A.C. Renate), Andrea Massolini (Brescia Calcio) e Nicola Saviolo (Hellas Verona) si sono alternati nel salotto di Rabonita per dar vita a un confronto sulle rispettive metodologie di allenamento. Una serata che ha avuto il merito di avvicinare il pubblico degli appassionati a quei temi che spesso vengono “nascosti” ma che contraddistinguono il gioco del calcio.

La realtà del Renate è diventata protagonista della recente cronaca sportiva per i meriti sul campo, alla vigilia della tanto attesa sfida playoff di Serie C con il Padova. Come si allenano quei giocatori che sognano il grande salto nel professionismo? A partire dai due principi fondamentali, ovvero lo spazio e il tempo, il calciatore acquisisce e sviluppa nuove abilità tecnico-tattiche e si confronta con la tecnologia. Dall’uso dei gps alle sedute video per studiare i movimenti dei grandi campioni, nulla è lasciato al caso. La ricerca e lo studio alla base del lavoro sono di grande valore.

I principi etici del Brescia Calcio vengono presentati da Andrea Massolini con grande orgoglio ed entusiasmo. Il giocatore che indossa quella maglia non deve mollare mai e non vede l’ora di conquistare il prossimo pallone. Cuore e testa, ma anche grande preparazione all’evento e voglia di divertirsi. Il gol è un momento importante, giocare a calcio è comunque una grande festa. Un punto di contatto con la presentazione precedente è sicuramente rappresentato dalla voglia di innovare e sperimentare. Nuovi stimoli per nuovi grandi obiettivi, in campo e fuori.

La crescita umana, sportiva e motivazionale sono gli obiettivi del progetto Hellas Verona. Il ragazzo è sempre al centro del gioco come del progetto della società, le due fasi di gioco sono i due mondi da esplorare. L’importante è portare dentro di sé quella passione che alimenta i propri sogni e allontana la fatica e il sacrificio. Giocare a calcio è una vocazione, una missione. Un ambiente sano e positivo permette al calciatore di crescere e mettersi alla prova.

Tre interventi efficaci e di sicura fruizione. La tecnologia (in questo caso la video analisi) come strumento per migliorarsi giorno dopo giorno e correggere quei piccoli dettagli che in partita possono spostare gli equilibri. Il gioco del calcio è semplice, ma non scontato. Ogni movimento, ogni gesto accompagna una scelta che può cambiare i destini di un calciatore e dell’intera squadra. Conoscere questo sport significa addentrarsi nelle sue mille pieghe e cercare di dare una spiegazione all’essenza del gioco.

Una serata che racchiude i valori della formazione e dell’aggiornamento. Un momento di condivisione e confronto per informare, ispirare e tracciare una linea immaginaria. Ogni spunto successivo, ogni riflessione e qualsiasi giocata improvvisata non faranno altro che accrescere il nostro bagaglio di conoscenze. Una grande opportunità per chi ama questo sport e ha scelto di viverlo da protagonista.

Riccardo Amato

 

Ecco i riferimenti degli organizzatori e dei partner dell’iniziativa. Date uno sguardo alle loro vetrine!

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Un nuovo calcio

Non si può proprio fare a meno di partire da una data. Il 26 maggio 2021 sarà ricordato da milioni di tifosi e appassionati come una delle tappe più incredibili della storia recente del calcio italiano. Tre addii, tutti insieme, che riguardano le tre squadre più titolate d’Italia. L’Inter saluta Antonio Conte a pochi giorni dalla festa scudetto; il Milan e Donnarumma prendono strade diverse, mentre la Juventus ufficializza il divorzio da Fabio Paratici. E ora che succederà?

Le avvisaglie in casa Inter c’erano state, eccome. Pensare però a un tecnico fresco campione d’Italia al passo d’addio restava la soluzione più improbabile. Il calcio ci smentisce ancora una volta e, se possibile, ci tiene incollati ancora di più alla sua vetrina. Il fiato sospeso dei tifosi che vedono andar via i propri beniamini è lo stesso degli addetti ai lavori che devono ripartire da zero. Questa volta non sembra essere una questione di quattrini, piuttosto di obiettivi e di step di crescita. La parola ridimensionamento non è mai piaciuta a Conte, che ogniqualvolta ha fiutato una cattiva aria, ha salutato la società di turno. Conte va, l’Inter resta? Il rischio che i giocatori più affezionati al tecnico leccese possano manifestare un mal di pancia è ora più che mai concreto.

In casa Milan è successo ciò che in tanti si aspettavano. E qui i soldi contano eccome. La società non ha ceduto ad alcun ricatto e ha dimostrato con i fatti di poter fare a meno del suo uomo simbolo. Altro che riconoscenza, altro che bandiere o sogni di gloria. L’unica perplessità riguarda il sostituto del portierone della Nazionale italiana. Un possibile approdo alla Juventus, oasi felice per le operazioni targate Raiola, infiammerebbe la vicenda e un campionato che si preannuncia già scoppiettante. Una brutta storia e un punto di contatto con la vicenda Conte-Inter. Salutarsi subito dopo una festa è una vera e propria pugnalata alle spalle.

La rivoluzione in casa bianconera partirà dal custode della stanza del potere. Fabio Paratici paga una stagione infausta dal punto di vista sportivo (nessuno crede alla storia dei due trofei conquistati su quattro), iniziata con alcune scelte discutibili. I rapporti in dirigenza si erano deteriorati da tempo, il probabile ritorno di Max Allegri sulla panchina bianconera sarebbe legato a doppio filo con l’uscita dell’ormai ex dirigente bianconero. La questione Cristiano Ronaldo potrebbe meritare un approfondimento nelle prossime puntate.

Segnali di un calcio che cambia e che deve rinnovarsi. Se aggiungiamo poi la questione Inzaghi (cosa fatta il rinnovo con la Lazio) e le panchine girevoli di Spalletti e Gattuso, l’immagine del calcio italiano muta completamente. Nuovi equilibri, sette squadre che ripartono da zero (o quasi) e l’augurio che il prossimo torneo possa esprimere tutto lo spettacolo che la gente merita. Il cambiamento porta con sé nuovi stimoli e sicuro entusiasmo, cavalchiamolo insieme!

Il 26 maggio 2021 rimarrà quella tappa indimenticabile nel giro più lungo e tortuoso: quello che porta alla sostenibilità. Il calcio va rivisto, i bilanci in rosso devono pesare come sconfitte per tutti, le scelte (e i milioni) devono rispecchiare la salute e le reali possibilità dei club. Solo così il campionato italiano riacquisterà valore, appeal e competitività. È arrivato il momento di compiere scelte concrete.

Riccardo Amato

 

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Alla scoperta di Gerardo Dauria, il portiere che sogna il Nord

Questa è la storia di un giovane portiere campano con i piedi ben piantati a terra e tantissima voglia di stupire. Questione di sani principi e radici, abitudini e comportamenti che si tramandano di generazione in generazione. La presenza della famiglia e il supporto incessante di papà Ciro, primo tifoso di Gerardo, ma soprattutto la caparbietà che può permettere a buoni propositi di trasformarsi in opportunità.

Il sogno di giocare al Nord è il presente. Bisogna cercare tra i ricordi i perché di un percorso, le scelte compiute e quel briciolo di follia che non appena si consuma, ti fa sentire realizzato. Un ragazzo tranquillo, umile, serio e determinato. Un mondo spietato là fuori che lo aspetta. Quella forza interiore che caratterizza i grandi portieri, mai spaventati quando arriva un tiro veloce verso di te e devi difendere un risultato in bilico.

La storia di un ex terzino sinistro che nascondeva i guanti da portiere in fondo alla borsa per non farli vedere al papà. Occhio non vede, cuore non duole. “Gioca un po’ più avanti, lì sei forte”. Peccato che certe sensazioni le devi provare dentro in prima persona. Quella vocina che ti dice cosa fare e quando farlo, nonostante gli altri non ci credano.

Gerardo Dauria da S. Antonio Abate è un portiere classe 2006 degli Under 15 nazionali della Cavese Calcio 1919. I suoi 188 centimetri sono una forma di conforto per i compagni e un avvertimento per gli avversari. La sua carriera da calciatore inizia subito. All’eta di cinque anni viene iscritto alla Scuola calcio GE.CA. dove comincia a dare i primi calci al pallone.

Dopo due anni si trasferisce all’Olimpia Club dove l’importante è divertirsi, ma siccome manca un portiere è sempre pronto ad andare in porta. Una chiamata casuale che si rivelerà la sua scelta definitiva. È proprio qui che nasce il primo confronto con papà Ciro. Ogni volta che vede i suoi compagni allenarsi si volta verso la sua guida e rinnova la sua richiesta. Niente da fare. “Gioca più avanti che sei forte”. Gerardo abbassa il capo e prosegue per la sua strada. Non vuole deludere l’amato papà. Chissà quante immagini e quali pensieri scorrono nella sua testa.

Passano altri due anni e una novità attende Gerardo e la sua famiglia. “Un giorno vado a prenderlo agli allenamenti e vedo il Mister camminare verso di me, proprio come se dovesse rivelarmi qualcosa di segreto”. “Ciro, a tuo figlio piace tantissimo fare il portiere: fagli provare il ruolo, è arrivato il momento di regalargli un sorriso oltre che un’opportunità”.

Le prospettive cambiano, i sogni sono ancora più luminosi. Ora la missione è la ricerca di un ottimo prepatatore dei portieri. La vicina Castellammare di Stabia e il Club Napoli sono una garanzia. La terra di Donnarumma, Mirante, Iezzo e tanti altri portieri. Un manifesto talmente grande che diventa impossibile resistere al suo richiamo. Gerardo è pronto a scendere in campo. Una nuova vita lo aspetta.

“Il ragazzo ha qualità e risponde bene”. Mister Aniello Esposito non ha dubbi e invita la famiglia Dauria a iscrivere il giovane atleta alla Real Stabia. I miglioramenti sono evidenti, la crescita costante. La richiesta in termini di sacrificio e impegno non è da sottovalutare, ma la ferrea volontà di Gerardo è l’unica cosa che conta.

Qualche anno dopo, finiti gli allenamenti, l’agente di Gerardo, Claudio Ventreglia contatta papà Ciro per partecipare ad alcuni provini e non perdere il treno tanto atteso. Quell’occasione è realtà. Nessun dubbio, semmai tanta voglia di raccogliere quanto seminato e mostrare la migliore versione di sé. Gerardo si allena con la Scuola dei portieri di Vincenzo Di Filippo fino a settembre, dopodiché la Cavese Calcio esprime tutto il proprio interesse per il ragazzo e punta su di lui.

Un padre che appoggia in tutto e per tutto il figlio, un legame con la propria terra ma anche la speranza di trovare qualcosa di più grande al Nord. Gerardo lavora duro per questo obiettivo e per ciò che lo aspetta. Il calcio come primo obiettivo, il parallelo percorso a scuola, in un Istituto Tecnico, un mondo che lo appaga e gli permette di imparare un mestiere. Il ragazzo non si muove bene soltanto tra i pali, ma dimostra di possedere capacità importanti anche nella progettazione e nell’uso del software Autocad.

Da quando il calcio è diventato la sua missione, cura la sua alimentazione e dà grande peso ai dettagli. Il ruolo del portiere richiede grandi responsabilità. Occorre una pronta risposta a stimoli e sfide sempre maggiori.

L’estate di Gerardo si preannuncia calda e ricca di appuntamenti. Diversi osservatori hanno notato le doti del ragazzo e desiderano vederlo all’opera da vicino. Da quando, a nove anni, Mister Aniello indirizzò la sua carriera ad oggi, il ragazzo non ha mai smesso di sognare. Una nuova occasione potrebbe nuovamente presentarsi sul cammino di questo giovane calciatore dal volto gentile.

Riccardo Amato

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Professionisti allo specchio: rileggi la prima puntata

La prima serata di “Professionisti allo specchio” (seconda serie) è volata via in un attimo. Un’ora e mezza circa di idee, racconti e sensazioni sul calcio giovanile attraverso i principi, i metodi e soprattutto gli attori in prima linea. Dietro a un ragazzo che può diventare uomo e campione, ci sono tecnici, storie e anni di lavoro e preparazione. Abbiamo provato ad analizzarli, a scomporli e a renderli fruibili a tutti.

Il padrone di casa, Claudio Gori della Rete dei Mister, ha ampliato il parterre  e rinforzato la squadra degli organizzatori. Stiamo parlando di Alessandro Crisafulli e il suo canale YouTube Aurora Desio Settore giovanile, ASD Next Level Soccer, Rabonita, Slow Futbol e Newsteam, una app gratuita e innovativa per vivere al meglio la tua esperienza nel mondo del calcio.

Gli ospiti sono uomini di rilievo e sostanza, vere e proprie fonti di ispirazione per cercare di comprendere un gioco sempre più complesso (ma non complicato) e influenzato dalle mode. Alex Scarpellini (che ha rappresentato l’Attività di base dell’U.C. Albinoleffe), Giulio Geremia (Responsabile tecnico dell’Attività di base del Pordenone Calcio) ed Ermanno Demaria (Attività di base del Torino F.C.) ci hanno accompagnato idealmente sui campi di gioco per farci respirare un’aria nuova. Un’idea comune in testa, quella di crescere ragazzi sani, preparati e autonomi e diversi strumenti, anche creativi, per raggiungere l’obiettivo.

Alex Scarpellini rappresenta una realtà lombarda in continua evoluzione e costante crescita. Gli investimenti sulle strutture e sul capitale umano stanno permettendo a una società intraprendente di navigare nell’oceano calcistico già frequentato dagli squali Inter, Milan e Atalanta. All’Albinoleffe sono ben chiari i principi da seguire in campo e fuori, ricercando nel dettaglio e nel miglioramento continuo la versione migliore di sé. Uno staff di tecnici giovani e preparati si mettono a disposizione di centinaia di ragazzi che non vedono l’ora di calcare i palcoscenici più importanti. “Il nostro segreto? Lavorare 36 ore al giorno. Con un’ora in meno faremmo fatica”. Una breve battuta che rende l’idea della voglia di stupire e del coraggio delle proprie azioni.

Giulio Geremia è un po’ il simbolo della crescita esponenziale del Pordenone negli ultimi anni. La prima squadra giocò inaspettatamente a San Siro contro l’Inter in Coppa Italia nel 2017. Tutti rimasero sorpresi, tranne gli addetti ai lavori del club neroverde. Cultura del lavoro, passione, divertimento e ricerca continua dell’intensità sono solo alcuni degli step necessari per un sogno ancora più grande. Un lavoro che non si pone limiti e obiettivi, proprio perché sarebbe ingiusto frenare le proprie ambizioni. A livello di attività di base, lo studio e i metodi sono meticolosi, con un approccio psicologico calibrato in base alle fasce d’età. La parola divertimento è sempre presente, la sfida, declinata come voglia di andare a riprendersi il pallone per rimetterlo subito in gioco, rappresenta quel fuoco che brucia dentro e ti spinge a tentare l’impresa.

Lo spirito granata, il ricordo degli Invincibili che tuttora vive a Torino, il carisma e l’esperienza di Ermanno Demaria. Il calcio non è solo uno sport, è vita. Serve conoscerlo, ma è altrettanto importante lasciarsi trasportare e cambiare dai suoi insegnamenti. “Ecco perché le nuove tecnologie, i nuovi allenatori e l’esperienza di coloro che guidano i ragazzi da più di vent’anni costituiscono un patrimonio tecnico e umano per i calciatori di oggi e domani”. Il calcio è anche fango, paura di non farcela e sogni spezzati.

Al Torino F.C. si costruiscono calciatori pronti ad affrontare le difficoltà così come le chiamate di club ancora più prestigiosi. Il debutto in Serie A o in Nazionale di un bambino che è diventato ormai uomo non deve sorprendere. Il lavoro del Toro è codificato e riconoscibile. Lo impongono la storia della società, la tradizione e quella forza interiore che anima migliaia di ragazzi. Senza dimenticare mai le ricette segrete: il talento, la fantasia e il gioco. E l’allenatore?

“L’istruttore è come il faro del porto, è lì presente e vigile per indicare, segnalare, illuminare, avvisare…ma lascia al mare la possibilità e la scelta di agire libero con il proprio modo di essere”

Riccardo Amato

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Vuoi rivedere la puntata integrale? Ecco i link:

La Rete dei Mister – Pagina Facebook

Aurora Desio Settore giovanile – Canale Youtube 

 

 

Educare a pensare nel calcio

Ieri sera è andato in scena il primo webinar organizzato da ASD Next Level Soccer. Il tema è davvero interessante e merita un approfondimento. Una riflessione sui diversi aspetti che accompagnano la crescita del giovane calciatore. Un percorso ricco di ostacoli che si tramutano in opportunità una volta comprese le dinamiche di questo sport.

Lorenzo Bedin (Coordinatore tecnico dell’attività di base), Alessandro Consolati (Responsabile organizzativo delle società affiliate) e Gabriele Passalacqua (tecnico U12) del Chievo Verona hanno illustrato le peculiarità del loro progetto. “Una nuova metodologia che ha rappresentato un cambiamento radicale” secondo Bedin.

Quando si fa calcio ad alti livelli, le strutture non possono mancare. Il Bottagisio Sport Center è la casa del Settore giovanile gialloblu. Un luogo dove è possibile sperimentare un approccio multidisciplinare allo sport (scherma, canottaggio e futsal), grazie all’impegno e alla visione del Presidente Campedelli.

“Quegli stimoli che provengono da attività diverse dal calcio vanno interiorizzati. Stiamo vivendo un momento storico particolare: la cultura e la passione diventano ponti per raggiungere quel senso di appartenenza che non diamo mai per scontato”. La ricetta del Chievo Verona è talmente semplice da far venir voglia di buttarsi con coraggio ed entusiasmo in questa nuova avventura.

Dal Settore giovanile alle scuole calcio affiliate, il bacino comprende diecimila giocatori circa, guidati con un metodo comune. Un modello integrato, diverse aree (come quella di Ricerca e Sviluppo) e diversi staff a confronto (ad esempio la tecnica e gli aspetti psicologici).

“Definire una meta per il calciatore ci permette di comprendere quali step dobbiamo raggiungere giorno dopo giorno”. La sensazione è che il calciatore venga sì guidato, ma che l’obiettivo sia la sua autonomia. Si è parlato molto nei vari dibattiti di calciatore pensante e riconoscente (colui in grado di riconoscere le situazioni e scegliere il meglio per sé e la squadra). In questo caso è la resilienza la caratteristica base (ma non l’unica) del giocatore di oggi e domani.

La gestione dell’errore e la relativa esperienza come mezzo per l’apprendimento. Giocare sulla complessità significa mettersi alla prova e andare a ricercare l’errore. Dalla riflessione nasce l’apprendimento. Il calciatore deve saper gestire l’errore e non essere gestito dall’errore stesso. Lavorare sui dettagli ci permette di comprendere ancora di più le esigenze della squadra e del singolo.

L’importanza della transizione (ad esempio il recupero della palla dopo averla persa) costituisce una delle colonne del metodo. L’orientamento, inteso come il “dove sono e in quanti siamo” diventa una situazione proposta anche ai più piccoli. Un continuo stimolo a pensare e a contare, poco importa se si tratta di cinesini in un gioco o di avversari nella fase di costruzione.

Il lavoro del tecnico è essenziale, anche se non bisogna mai dimenticare che i veri protagonisti sono i ragazzi in campo. “Sarebbe bello arrivare all’inizio dell’allenamento con un foglio bianco e tornare a casa con un foglio ricco di appunti. L’osservazione dei comportamenti e la risposta dei nostri atleti rappresenta già un gran punto di partenza per il lavoro di oggi e di domani”. Un insegnamento che possa durare nel tempo e arricchire il bagaglio di conoscenze dell’atleta.

Nella seconda parte della serata è Paolo Zago, tecnico dell’U13 dell’Alessandria Calcio 1912, ad entrare nel vivo della proposta sul campo. Educare a pensare, nel calcio come nella vita, è già di per sé un approccio insito nella natura umana. Da Socrate a oggi, pensare nel senso di “acquisire conoscenza di sé e del mondo”, ci porta a vivere esperienze e a percepire ciò che succede attorno a noi. La scelta si attesta oltre la complessità.

L’ambiente di gioco fa la differenza e permette la ricerca del principio attraverso un approccio ludico. Stiamo pur sempre parlando di un gioco e di ragazzi. Questi devono pensare all’interno dell’esercitazione, porsi delle domande e scegliere. “Come ti muovi? Come ti orienti per l’obiettivo?”. Ecco che il gioco diventa uno strumento per comprendere e consolidare la propria capacità di decidere in autonomia. E come in un processo circolare, ritorniamo alla testimonianza iniziale dello Staff del Chievo Verona.

Nicolò Degiorgi, preparatore atletico della prima squadra dell’Alessandria Calcio, ci mostra quelle che sono le implicazioni atletiche degli small sided games e delle partitelle. Dall’uso del gps alle variabili da tenere in considerazione, è possibile creare un momento di esercitazione (e di apprendimento) su misura. L’obiettivo finale indirizzerà la nostra scelta.

Una serata davvero interessante e ricca di spunti per tornare in campo più carichi di prima, con la consapevolezza che nulla vada dato per scontato e che ogni singola scelta possa cambiare i destini del tecnico come del giovane calciatore. Un ringraziamento speciale agli organizzatori e ai relatori.

Riccardo Amato

 

 

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La Juve si aggrappa alla Champions

“Voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia, un senso non ce l’ha”. Avrebbe commentato così Vasco Rossi l’intervento di Cuadrado su Perisic e un po’ tutta la partita tra Juventus e Inter. Il derby d’Italia non ha tradito le attese e ci ha tenuto incollati allo schermo nonostante i nerazzurri avessero già conquistato lo scudetto. Il match è stato vibrante e divertente. La Juventus supera l’Inter nel punteggio e tiene vivo quel disperato bisogno di Champions. Quei milioni che aiuterebbero una ricostruzione che partirà tra una settimana, dopo aver scoperto se questa stagione porterà con sé un secondo trofeo, la Coppa Italia.

Calvarese è il man of the match. Per distacco. Quando l’arbitro è protagonista, non è mai una bella notizia. Tre rigori, almeno due generosi, cartellini a caso e un match condizionato dall’inizio alla fine. Il peso delle decisioni allo Juventus Stadium, la posta in palio per i padroni di casa e un debutto nella partita delle partite non sono attenuanti. Il fischietto di Teramo dovrà aspettare un bel po’ di tempo prima di rivedere il suo nome affiancato ai grandi eventi sportivi. Prima condanna la Juventus, poi la premia. Fortunatamente il titolo è stato già assegnato.

L’Inter alla fine la gioca questa partita, lo dicono la classifica e una nuova mentalità. Trattasi pur sempre di un impegno ufficiale contro i rivali di sempre. Pirlo gioca il suo ultimo derby d’Italia e la sua squadra è per buona parte della prima frazione volenterosa. Il vantaggio è meritato. Cristiano Ronaldo segna su rigore (in realtà Handanovic glielo aveva anche preso ma i suoi compagni non hanno la stessa idea) e Cuadrado è decisivo ancora una volta. Il suo tiro in porta è l’espressione di tutta la rabbia e la frustrazione accumulate in 37 partite.

I bianconeri mostrano nella vittoria tutti i propri limiti. Gioco lento e prevedibile, proposta accademica e mai fantasiosa, l’unica vera stella è in ombra e dietro il migliore è ancora Chiellini, che a 36 anni guida con ferocia la difesa. L’irruenza di De Ligt può costare cara, il rendimento di Rabiot e Bentancur è sempre destinato a calare con il passare dei minuti. Insomma sono tanti i grattacapi e le lacune non solo per competere per la Champions ma soprattutto per provare a riconquistare uno scudetto ora al centro della maglia nerazzurra.

Si è parlato (e tanto) delle ristrettezze economiche dell’Inter. I dubbi restano, ma affrontare le difficoltà da campioni d’Italia sarà sicuramente meno faticoso rispetto al pianificare la nuova stagione con addosso le scorie di quella appena passata. Il risultato finale non deve ingannare: l’Inter ha un futuro, la Juventus deve costruirlo. Il calcio è il presente, impossibile e inutile pensare ai prossimi anni. Nel calcio italiano le soluzioni bisogna trovarle subito.

Piccola divagazione. Mercoledì sera si giocherà Atalanta – Juventus, finale di Coppa Italia. Il trofeo vale molto soprattutto per i bergamaschi, che per la terza stagione di fila si sono assicurati un posto nell’Europa che conta. Quando si parla di gioco e di risultati, il modello da ammirare resta quello della famiglia Percassi.

Come ammesso dallo stesso Gasperini, il divario economico tra la Dea e l’Inter resta. Se il calcio continuerà a procedere nella direzione del “più spendi meno spendi”, i prossimi tornei potrebbero assumere una piega diversa. Questo campionato ci ha ricordato che contano soprattutto le idee e le competenze. Dipende dalle scelte di oggi e di domani. Ancora una settimana e calerà il sipario su uno dei campionati più equilibrati e appassionanti degli ultimi anni.

Riccardo Amato

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Ho parlato con De Zerbi e mi ha detto che…

Una conversazione immaginata con il tecnico del Sassuolo. Dopo Gasperini e Sarri, ecco il turno del tecnico del Sassuolo. Una stagione, quella che sta per concludersi, che l’ha visto comunque protagonista. In campo e fuori. Al centro dell’attenzione mediatica. Parlare di De Zerbi è un po’ come voler affrontare quei temi talmente vasti da dover spezzettare il tutto in micro temi, sottotitoli, osservazioni e molto altro ancora.

L’ho incontrato in occasione di un torneo di calcio giovanile, per poi scoprire che il nostro albergo sarebbe stato lo stesso. Lui che con i giovani ha sempre avuto un feeling particolare. Un tecnico che veste i panni dell’educatore e del maestro, un uomo che fa del bastone e della carota due strumenti essenziali per la crescita dei suoi ragazzi.

Quest’anno, però, ha chiesto troppo ai suoi giocatori. “Tornassi indietro rifarei tutto”. Convinzione e consapevolezza nei propri mezzi non devono mancare se giochi in Serie A e guidi un club che macina gioco e risultati da tempo. “L’etichetta della favola la lasciamo ad altre realtà, noi con il nostro gioco abbiamo offerto spettacolo e abbiamo cercato di divertire i tifosi”. Il calcio è bellezza, armonia, una collezione pregiata di tocchi e gesti fino ad arrivare al gol.

“Non ci siamo posti obiettivi, se non quello di essere ambiziosi”. Ed ecco che Berardi e compagni si sono trasformati in bad boy capaci di assumersi vere responsabilità. L’obiettivo è sempre stato l’Europa. Gli equilibri di un campionato fortemente condizionato da molteplici fattori ha fatto credere a qualcosa di più grande, inaspettato. Tutti si sono chiesti quanto sarebbe durato il Sassuolo tra le prime quattro della classe. Nessuno sa cosa si siano detti veramente De Zerbi e i suoi ragazzi quando la situazione è cambiata.

L’asticella si è alzata, forse a un certo punto si è pure spezzata. L’obiettivo europeo è condiviso dal tecnico come da tutto l’ambiente. L’ambizione e il coraggio dell’ex presidente Squinzi e del ds Carnevali sono da sempre due forze propulsive per tentare l’impresa. Stagione dopo stagione, abbinando il gioco ai risultati e valorizzando un patrimonio tecnico e umano che vanta pochi eguali nella massima serie. Impossibile dimenticare il percorso del club dall’avvento di Di Francesco.

“Alcuni infortuni ci hanno penalizzato”. La crescita esponenziale di giocatori chiave come Locatelli e Caputo, la sorpresa Raspadori, le abilità e le capacità di un gruppo che si è compattato nei momenti più difficili. Alcuni risultati prestigiosi contro Milan e Atalanta. “Sapevamo che sarebbe stata dura competere con le prime sette del campionato”. Come dare torto a un tecnico che ha provato a portare il gruppo oltre i propri limiti.

I neroverdi hanno raggiunto un tranquillo ottavo posto, a una manciata di punti dalle romane. “Chiaro, se qualcuna sopra di noi avesse commesso qualche errore, avremmo potuto inserirci”. La sensazione è che questa possa essere l’ultima stagione nella società emiliana di un allenatore capace di innovare anche fuori dal campo.

Ricorderemo senza dubbio questa annata per alcune dichiarazioni (queste vere) che hanno fatto rumore. La nascita della Super Lega, le riflessioni su un modello di calcio non più sostenibile, un grido di allarme verso il calcio del futuro. La responsabilità di un personaggio pubblico di dire la verità e non infarcire di menzogne le menti dei giovani che lo ascoltano. Che siano i suoi giocatori o gli aspiranti calciatori di domani, la missione è la stessa.

Si parla (e molto) di un futuro all’estero, allo Shakhtar Donetsk. De Zerbi preferisce non commentare. Il suo lavoro non è finito, le convinzioni restano. Lo studio, l’osservazione e la sperimentazione restano quei capisaldi di un pensiero filosofico applicato al calcio.

Chissà se in un altro Paese verrà compreso, supportato e aiutato a compiere quel definitivo salto che avrebbe il sapore della consacrazione. Ispirandosi a Guardiola, ma operando ogni giorno con semplicità e coraggio. Questo è il mondo di De Zerbi. Un giovane tecnico che non ha paura di essere schiacciato dai sogni, impegnato in un conflitto costante con la realtà. Se la sua missione è stata anche quella di ispirare, parleremo ancora molto di lui.

Riccardo Amato